Che si sa, siamo abituati; beh, col calendario che avete avuto. Beh, tutte squadrette avete affrontato. Beh, cosa vi montate la testa, aspettate di incontrare le vostre dirette concorrenti. E via con la musica; perché si sa, quando l’Inter vince sette partite consecutive, nove contando Coppa Italia ed Europa League, il merito è del calendario. Che no, che quando gli altri vincono con gli striminziti uno a zero, magari su autorete, sono squadre ciniche, i campionati cari miei si acciuffano battendo le cosiddette piccole, non importa come. Poi lo facciamo noi e comincia la litania delle frasi fatte. Ormai non fa neppure più notizia questo ridicolo sminuire il buon cammino nerazzurro, almeno da parte dei soliti noti; non ti curar di loro ma guarda e passa è la frase che meglio li dipinge. E non è sindrome da accerchiamento, più semplicemente una constatazione di quanto ci accade intorno, del triste tentativo di far passare sette successi consecutivi come normalità quando normale non è visto il pregresso di questi ultimi campionati. Ricordo che abbiamo battuto anche Lazio e Fiorentina e sono anni che ci trituriamo i maroni con la storia che in Italia il calcio è tattico, che qui puoi vincere e perdere con chiunque, che non bisogna mai sottovalutare nessuno, che la differenza tra il nostro campionato e gli altri sta proprio nel dover essere concentrati domenica dopo domenica. La sostanza delle cose sta nel fatto che Stefano Pioli, sissignori quello Stefano Pioli messo in competizione con tale Marcelino in un presunto “casting” sbandierato ai quattro venti (a proposito, ma il Palermo ultimamente, giusto per dirne una, non ha scelto in una rosa di tot allenatori? No, dai, sicuramente mi sto sbagliando, colpa dell’arteriosclerosi), pare abbia trovato la quadra. L’accozzaglia di inizio anno, quella sorta di mucchio selvaggio delle prime undici giornate sembra definitivamente cancellato; sostituito da undici ragazzotti in pantaloncini e maglietta che si dannano l’anima correndo come ossessi a destra e a manca, pressing asfissiante sul portatore di palla avversario, cinismo ed un pizzico di culo, ingrediente che accompagna il cammino di ogni squadra vincente. Mi fa piacere, mi fa ricominciare a guardare le partite con occhio diverso rispetto a quanto capitava solo fino a pochissimi mesi fa. Oggi riesco a sedermi in poltrona, quando non sono al Meazza (io la meno, ma ricordo a tutti quanto che per i cugini è San Siro, per noi il Meazza, e non è la stessa cosa) con un bel piatto di spaghetti fumanti sulle ginocchia, puro stile fantozziano, e mangiare comodamente in relax, sorseggiando un bicchiere di vino e dissertando amabilmente del pianeta calcio. Alla faccia del bicarbonato di sodio, avrebbe detto l’immenso Totò. Certo, un pizzico di nervoso ti sale e la mutazione della squadra non fa che accrescerlo e dare fiato alla mia teoria, suffragata dai fatti, e cioè: in campo ci vanno sempre e comunque i calciatori, indipendentemente da chi sta seduto in panca. Quest’ultimo, casomai, deve essere uno psicologo capace di leggere nella mente e nel cuore di chi ha in rosa, un abile artigiano abile ad assemblare i vari pezzi fino ad ottenere un ottimo risultato finale. Pioli non ha la bacchetta magica, non l’ha mai avuta. Niente zucche trasformate in carrozze lucenti, ad Appiano nessuno canta salagadula magicabula bibidi bobidi bù; solo del gran buon senso, quello che forse è mancato a chi ha preceduto il tecnico emiliano. Che, non mi stancherò mai di ripeterlo, era ed è un buon allenatore, inadatto per un calcio che non conosceva e buttato nella mischia da solo, senza nessun tutor (le voci raccontano di un De Boer riottoso all’idea, che al contrario sarebbe stata ottima) e senza paracadute; è caduto, si è fatto molto male. Comunque oggi si vedono i segnali di una squadra che sta nascendo. Con fatica, col lavoro che deve essere duro e continuo, col sacrifico e l’abnegazione; e tutta una serie di piccoli accorgimenti che hanno trasformato l’Inter, rivoltata letteralmente come un calzino. La nuova regola introdotta dall’allenatore, sia in allenamento che in partita si parla italiano, se ad una prima occhiata può sembrare roba da poco, dà al contrario – ma questa è una mia lettura ed una mia opinione – un senso di appartenenza che prima era del tutto assente. Siamo in Italia, si gioca con una squadra italiana, di respiro mondiale ma italiana, la lingua del club è l’italiano. Credo anche che i giocatori stiano sentendo molto la vicinanza della nuova proprietà; la permanenza di Steve Zhang a Milano ha sicuramente inciso sul rendimento della squadra, così come i viaggi di Jindong nel capoluogo lombardo, stimolo ulteriore. Suning è una potenza nel suo settore, ricca, ricchissima, e non solo può spendere: vuole spendere, che tra le due cose c’è una bella differenza. Ovvio, i calciatori, trovandosi di fronte ad un padrone ricco e potente, animato da grandi idee suffragate dai fatti, tendono a voler far parte del progetto Inter che verrà e non vogliono cambiare aria, per me più per orgoglio personale che per una mera questione economica. Se questo nuovo corso apporterà benefici al rendimento nerazzurro lo vedremo tra poco; gli autolesionisti meglio cambino aria. Per loro stessi e per la loro carriera; parliamo sempre di professionisti del pallone, di ragazzi che desiderano giocare, non stare in una specie di prigione dorata passando le domeniche in tribuna e già sapendo che non verranno mai chiamati in causa. Per adesso i miglioramenti, dal punto di vista squisitamente tecnico e tattico, ci sono stati e li stiamo ammirando tutti; ci si danna l’anima anche per i compagni, si lotta per un fine comune. Che non so se riusciremo a raggiungere, la partenza ad handicap non agevola il piano, ma è un obbligo morale provare a farlo. Gli uomini ci sono; l’Icardi di sabato sera ha raggiunto una maturità mentale straordinaria, alla faccia dei maradoni di turno, D’Ambrosio sta sciorinando una serie di buone prestazioni, che se continua di questo passo diventa necessario ed impellente l’acquisto di un solo esterno basso, l’altro ce l’hai in casa, Gagliardini non ho neanche parole per descriverlo e così via, Joao Mario incanta col pallone tra i piedi. Uno per uno tutti cercano di remare nella stessa direzione e chi perde i remi lascia la compagnia. Non so se siamo una grande squadra, non credo ancora: ma una squadra sì, è indubitabile. Testa alla Coppa Italia adesso, martedì sera sarà importante esserci. Buon inizio settimana a Voi. Amatela, sempre!
Sezione: Editoriale / Data: Lun 30 gennaio 2017 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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