“Firmare sul secondo posto? È una bella roba, così sarebbe troppo facile. C'è tanta strada, noi dobbiamo essere una buona vettura come quella che mi hanno consegnato”. Così Spalletti, a margine della presentazione della partnership tra Volvo e Inter, disimpegnandosi con una sagace metafora di fronte alla fatidica e pericolosa domanda posta dai cronisti presenti all’evento. Fatidica e pericolosa proprio in quanto l’Inter, come ogni grande società che da troppo tempo veleggia lontano dai lidi che più le competono, è in una sorta di oscillazione continua tra le sue due dimensioni. Da un lato, infatti, c’è appunto l’Inter, il nome, lo stemma e i colori, da sempre e per sempre associati di necessità ai traguardi più importanti, anche in quei momenti –peraltro non infrequenti nella storia nerazzurra– nei quali il successo è un dolce ricordo, che si fa amaro di fronte a un presente più grigio. Di contro, l’Inter attuale, che non è certo una grande squadra, se con grande squadra si identifica un gruppo sicuro e affidabile semplicemente in quanto abituato a vincere. Troppe le amarezze e i brutti ricordi che si affollano negli ultimi anni, troppo radicata l’abitudine al fallimento, che rischia di attirare addosso al malcapitato ulteriori delusioni come fosse una calamita di sventura.

Per chi monta su questa macchina, occorre insomma barcamenarsi tra la necessità di farla correre e la cilindrata, che non sempre è all’altezza della carrozzeria.  Molti, negli ultimi anni, hanno scelto la prudenza, sottolineando i limiti tecnici della rosa ogni qual volta si tornava sulla terra; ebbene, se per esempio se ne chiedesse conto a Mazzarri, anche il livornese risponderebbe senz’altro che la sua strategia non ha pagato. L’Inter è insomma condannata a lottare per vincere in quanto Inter, a prescindere dai mezzi di cui dispone? Forse, soprattutto per chi tiene ai colori e alla storia. Per Spalletti, questa ammissione è stata un passo clamorosamente automatico, fin dalla conferenza con cui si è presentato al suo nuovo pubblico; certamente, ciò lo ha proiettato con immediatezza nella storia interista, in attesa che possa entrarci a piedi uniti con la forza del successo. Il punto, però, è che il toscano non si è fermato a indicare la strada sulla scia dei grandi nomi del passato, pur abbondantemente chiamati in causa nel tentativo di responsabilizzare i suoi. Spalletti infatti ripete con continuità ben più stringente che i suoi giocatori, quelli di oggi insomma, valgono le prime posizioni. Lo ribadisce quasi in ogni conferenza, lo sostiene con forza, spingendosi molto al di là della normale prammatica tipica del generale che non vuole demoralizzare la sua truppa screditandone il valore. Ci ha visto dentro qualcosa di speciale, possibilità fino a ieri insperate e margini di crescita elevati. Io guido una vettura di valore, che deve correre perché può farlo. Eccolo, il non detto dell’ex Roma, una rivoluzione drastica in un ambiente nel quale è ormai abitudine mettere le mani avanti, a cercare i segni del male e le premonizioni dell’insuccesso.

La seconda pausa delle nazionali, per sua natura, viene comoda per trarre i primi, precoci bilanci: può dunque tornare utile anche a porsi l’interrogativo sulla ‘macchina’ che Spalletti sta guidando con una velocità di crociera impressionante e regolare. Spesso si è posta enfasi sul fallimento della scorsa stagione, alla luce di una cifra tecnica che valeva ben di più della reale posizione raggiunta dall’Inter a fine campionato; la rosa dello scorso anno, insomma, è stata spesso considerata di valore, nonostante i risultati. Di fronte al mercato estivo, monco e deludente se parametrato alle grandi attese, ecco l’inversione di marcia: l’Inter è tornata per molti ad avere una rosa media, se non mediocre, con sparuti picchi di classe indiscutibile (Perisic, Icardi, Handanovic) e un manipolo di mestieranti da centro classifica. Il risultato è che oggi si sia arrivati a sostenere, specularmente rispetto allo scorso anno, come questa squadra vinca partite e accumuli punti nonostante la sua cifra tecnica. In quest’ottica, sarebbe dunque difficile capire cosa Spalletti abbia visto di bello nella sua nuova automobile. Non può trattarsi degli acquisti estivi, non ancora quantomeno. Se l’innesto di Skriniar si è rivelato provvidenziale nell’assoluta sicurezza che lo slovacco ha arrecato ai suoi compagni di reparto, gli altri nuovi hanno infatti garantito un rendimento più o meno simile ai loro compagni, senza fornire cambi di passo clamorosi all’insieme. Eppure, presi uno per uno, molti giocatori nerazzurri hanno vissuto pagine importanti, qualcuno memorabili, e non possono essersi dimenticati come si fa. Il progetto di Spalletti è tutto lì: riportare Joao Mario ai suoi livelli, ché il portoghese sa come si vince da protagonista; innestare nella testa di Brozovic –calciatore di per sé fenomenale, se solo lo sapesse–  un nuovo chip, cosicché il croato torni a sentirsi parte di un qualcosa; perfino, si potrebbe dire, riuscire laddove tutti hanno rinunciato, nella costruzione di un Icardi finalmente totale.

“Dobbiamo essere una buona vettura” è certo una frase buttata lì in un contesto informale, ma che è senz'altro nata dalla ferma convinzione di possedere un gruppo all’altezza del compito. Nessun miracolo, insomma, ché non ce n’è bisogno, ma l’affermazione perentoria del proprio valore cui ogni nerazzurro deve tendere. La buona vettura viaggia spedita, tallona la testa e si prepara ad affrontare lontana dalla bagarre un paio di curve a gomito niente male nelle prossime uscite. Certo, il gioco un po’ così suona come un rumoraccio del motore, ma c’è da credere che, col termine del rodaggio, quel rumore d'un tratto sparirà, e si crescerà inevitabilmente anche in fluidità. Con quell’uomo alla guida, pare si possa stare tranquilli. Guai a parlarne come di un mago, però. I giocatori ci sono, altri ne arriveranno. Vanno portati al loro massimo, come sarebbe ovvio attendersi da professionisti, se non fosse che il calcio è per metà fatto di umore. Finora, Spalletti è pienamente riuscito nell’intento; ci sarebbe da chiedersi, semmai, perché ciò non sia avvenuto prima. Ecco che però la testa torna subito al caos strutturale degli ultimi anni, ai passaggi di proprietà e alle telefonate agostane con l'Olanda; ecco, dunque, che il dubbio si risolve da sé.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 06 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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