Nessun giro di parole. Almeno per me il pareggio all'ultimo respiro nel derby è stato peggiore di una sonora sconfitta. A prescindere dalle ragioni di classifica, una classifica che vede la Beneamata attualmente fuori dall'Europa. La sfida con i rossoneri per il sottoscritto non ha eguali dal punto di vista emozionale, Inter-Milan rimane la perfetta sintesi di cosa voglia dire la rivalità. Due grandi squadre di una grande città come Milano, con le sue abitudini, con il suo stadio inimitabile, con la sua atmosfera, i suoi riti. Lo spettacolo scenografico che si ripete nel tempo nelle due curve che giocano la loro gara prima che l'arbitro fischi il calcio di inizio. L'Inter ha tifosi in ogni parte d'Italia e con la globalizzazione anche in Europa e nel mondo. So che per molti fratelli nerazzurri sia più sentita la partita con la Juventus o magari con la Roma, parlo degli interisti della Capitale. Non per me che, per statuto societario, considero da non fallire assolutamente l'appuntamento con il dirimpettaio cittadino. E' il derby. Poche storie. Ce lo ha insegnato l'Avvocato Prisco. Si giocava alle 12.30, sembrava un orario folle per invogliare la gente a recarsi nel Tempio, invece no. Ci siamo svegliati all'ora giusta, magari cercando di non eccedere la sera prima con cene e bevande per essere perfettamente lucidi nel giorno del giudizio. Abbiamo, senza nemmeno pensarci troppo, anticipato tutte le nostre abitudini e anche le nostre scaramanzie di qualche ora per presentarci come sempre in quasi 80 mila a questa partita che per Milano è storia, moda, titoli in bacheca, biglietto da visita da esportare. Anche se, per ora, non ci sono più i grandi campioni del passato. E non ci sono nemmeno più i grandi mecenati milanesi a capo dei due club come Moratti e Berlusconi. L'Inter è ora guidata da una potenza come la cinese Suning, anche il Milan si è affidato all'Oriente per cercare di tornare ai fasti del passato. Ma San Siro, il Meazza, sabato era quello di sempre in occasione del derby. Bello, pieno, questa volta baciato dal sole, in stragrande maggioranza nerazzurro per ragioni di calendario, ma idealmente diviso a metà, come la città. Anche se il canto che regala più brividi dice che: “Milano siamo noi”. Il verdetto del campo, per come è maturato, è stato un'autentica mazzata per chi ha il cuore nerazzurro. E un'autentica libidine per gli altri. Vincere la stracittadina per 2-0 a sette minuti dalla fine e poi tornare a casa con un pareggio al minuto 97 e con il rivale di sempre ancora sopra la testa, non può trovare alibi e giustificazioni. E' solo il frutto di colpe, di errori, di mancanza di quella personalità che non si compra al mercato. L'Inter non aveva giocato meglio del Milan sino al doppio vantaggio acquisito grazie ai gol, belli, di Candreva e Icardi. Anzi, nei primi venti minuti di gioco penso che i rossoneri avrebbero meritato il vantaggio per le occasioni create. Ma proprio per questo aveva fatto ancora più godere vedere il lancio millimetrico di Gagliardini per un Candreva capace di beffare il celebrato Donnarumma e pochi minuti dopo esultare con i Icardi capitano che finalmente segnava il suo primo gol al Milan sfruttando al meglio una imperiosa accelerazione sulla fascia sinistra di Ivan Perisic. Ecco, la perentorietà dell'azione che ha partorito il raddoppio nerazzurro cancellava le buone cose fatte vedere prima dai rossoneri. Quella azione sembra dire: i più forti siamo noi e oggi vinciamo noi. All'intervallo non credo che qualche tifoso interista pensasse più allo scempio di Crotone, eravamo solo tanti “bauscia” pronti ad inondare i social di immagini e sfottò per gli amici dell'altra sponda del naviglio. E invece abbiamo assistito ad un harakiri folle, assurdo. Non come quello del 21 febbraio 2004, quando con Zaccheroni in panchina, perdemmo 3-2 dopo il 2-0 a favore nel primo tempo. Quel Milan era stratosferico, quell'Inter inferiore e la notizia sarebbe stata la loro mancata rimonta. Per i meno giovani, come chi vi scrive, quanto successo sabato si può paragonare al derby di ritorno della stagione 78-79, quella del decimo scudetto e della stella milanista. L'Inter di Bersellini dominò, fallì anche un rigore, vinceva 2-0, ma nel finale fu raggiunta a causa di due tiri da fuori area di tal De Vecchi, di professione mediano. Due tiri uguali, che si insaccarono nello stesso angolo della porta sotto la curva rossonera. Torniamo al presente per capire cosa sia successo questa volta. Deve essere successo qualcosa di calcisticamente grave se i gol della remuntada rossonera portano la firma di Romagnoli e Zapata, due difensori. Vuol dire che certe scelte hanno invitato e permesso al Milan di venirti addosso. Non credo che l'Inter abbia pareggiato perché Pioli abbia fatto entrare Murillo e Biabiany. Il difensore colombiano avrebbe potuto magari salvare la baracca sul tiro disperato di Zapata e Biabiany avrebbe potuto segnare il gol ammazza-derby come nella fianale del mondiale per club 2010. Ma è la tipologia dei cambi a far girare la partita. Un difensore per un centrocampista in grado con il palleggio di tenere più alta la squadra e la sostituzione di Candreva con un giocatore come Biabiany che prima di sabato non aveva giocato un solo minuto. Lo avevo già scritto, anche il pur bravo Stefano Pioli è finito nella centrifuga Inter, come diceva il Trap. La paura di non vincere il derby ha avuto la meglio sulla gioia di vincerlo. Non è da grande squadra. Chiudo con un giudizio sulla discussa direzione di Orsato. Arbitro ottimo che lascia giocare. Purtroppo ama essere protagonista, nel bene e nel male. Sabato è stato innovativo nel recupero, come ha detto Casarin, e non ha trattato Icardi da capitano, contando fino a cinque come se trattasse con un ragazzino dopo la minaccia di ammonizione. Messina, il designatore degli arbitri, ha detto che Orsato è fatto così e bisogna accettare. Mah.
Sezione: Editoriale / Data: Mer 19 aprile 2017 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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