Al netto della naturale difficoltà che chi scrive non riesce a superare nel tessere lodi per il ‘bianco che abbraccia il nero’, vedere la Juve che ribalta quasi col minimo sforzo una situazione assai sfavorevole nel punteggio e nel gioco, dopo più di due ore complessive in cui il Tottenham aveva sostanzialmente meritato di portarsi a casa qualificazione e applausi, pone un confronto che sarebbe inevitabile, se non fosse improprio a causa della disparità di tasso tecnico, di esperienza e di attitudine alla vittoria che ad oggi passa tra le due rose. La serena crudeltà con cui i bianconeri sanno aver la meglio su chi fin lì ha meritato di più è però un ritornello di questi ultimi anni, e fa ahinoi da contraltare alla facile predisposizione allo sprofondo psicologico cui siamo diventati avvezzi da queste parti.

Un tempo, contro un Siena che veniva a fare la partita a Milano, l’Inter riusciva comunque a portare i tre punti a casa con il cieco assalto dei minuti finali, e un Samuel centravanti che, a raccontarlo ai posteri, verranno le lacrime. ‘Vincere aiuta a vincere’, dirà qualche saggio, e perdere a perdere, potremmo aggiungere. La prontezza nel reagire alla doccia fredda è senz’altro figlia diretta di una sicurezza che si matura con i successi, gli applausi, e la consapevolezza del proprio valore che ogni calciatore, in fondo un ragazzo o un giovane uomo, ne trae nella maniera più banale e comprensibile del mondo.

Viceversa, quando San Siro fischia, anche una facile linea di passaggio col compagno a due metri diventa una sorta di corridoio buio, roba da horror, con una folla di mostri pronti a garantirti la peggior figura della tua carriera. È ancora davanti agli occhi la frettolosa follia con cui Vecino ha buttato il pallone in fallo laterale dopo un secondo dal fischio d’inizio di Inter-Benevento, oppure un’orrenda svirgolata di Gagliardini che, nel primo tempo, ha spesso cercato la palla di prima per liberarsi del maledetto pallone il più presto possibile. Prima di ambire al cinismo di quell’Inter vincente, occorrerebbe insomma almeno un po’ di serenità. Senza serenità, altri errori altri fischi altre insicurezze di nuovo altri errori e via così, in un loop infinito.

A saperlo, dove sia questa serenità. La sequela di match con le piccole, in cui l’Inter ha più che balbettato negli ultimi mesi, mostra con chiarezza che questa squadra soffre terribilmente la responsabilità di dover fare la partita. Non ne è capace, forse tecnicamente, senz’altro a livello di testa. Il derby poteva essere l’occasione per una nuova ventata di entusiasmo, come pure la partita del definitivo tracollo. La posta in gioco di quella gara, infatti, andava chiaramente al di là della matematica, con tutto lo stadio, la città e l’Italia che sarebbero giustamente piombati addosso ai malcapitati nerazzurri dopo un’eventuale sconfitta. Col Napoli, forse, il discorso può essere diverso.

Anche loro, in fondo, hanno appena sbattuto la testa contro l’ineluttabilità di un’altra annata che potrebbe vederli belli e secondi a fine campionato. Vivono le sconfitte chiave come fossero figlie di una sorta di fato inevitabile e avverso, motivato da un’inadeguatezza tecnica rispetto alla rivale bianconera o, nei casi meno felici, da questioni metafisiche come il vento del nord e la legge del più forte. Saranno agguerriti, senz’altro, eppure potrebbero sciogliersi al primo gol subito, proprio come troppo spesso abbiamo visto fare ai nostri. Due squadre pronte a sbracare al primo segno di avversità, insomma, e non è escluso che possa avere la meglio quella più malridotta.

Per carità, quella del San Paolo era un’altra Inter. Fu tra l’altro una prova eccessivamente sottovalutata dai più, eppure a conti fatti si tratta della migliore esibizione stagionale dei nerazzurri, capaci di uscire palla al piede dal loro pressing con una serenità e un coraggio che, ad oggi, sembrerebbe assurdo associare agli intimoriti interpreti di Spalletti. Tuttavia, pare che il tecnico voglia ripartire proprio da lì: la presenza sempre più probabile di Rafinha dal 1’, davanti a Borja e Vecino – due che,  se solo si ritrovassero, sono assai capaci di dar del tu al pallone anche in mezzo alla selva di gambe – lascia immaginare un’Inter che senz’altro non andrà stupidamente all’arrembaggio, ché sarebbe appunto stupido farlo in queste condizioni e con questo avversario, ma che proverà in ogni caso a non buttare via il pallone, in attesa del nuovo attacco avversario. Quest’idea, tra l’altro, può giovarsi della costante possibilità di scarico che offre Cancelo, uno sul quale puoi allargare il gioco anche quando sei sotto pressione, tanto sarà sempre in grado di saltare il primo avversario e tornare a vedere il campo un po’ più aperto per ragionare.

La ricetta, d’altra parte, non può che essere questa. Uscire bene nel punteggio e nell’autostima dalla sfida di domenica può davvero donare ai nerazzurri una nuova consapevolezza di sé in vista dello sprint finale. Persino in caso di malaugurata sconfitta, sarebbe comunque preferibile aver condotto una gara di personalità. La serenità la acquisisci alla prima cosa buona che ti riesce, perché poi magari ne arriva una seconda, una terza, e via così, a crearsi un circolo che sia finalmente virtuoso e incoraggiante. Un nuovo loop infinito, insomma, per uscire da quello che sta tenendo a terra una squadra che potrebbe affrontare il campo (e lo ha fatto, eccome) con ben altre sicurezze.

Non mi son dimenticato. Auguri, cara, e tanto vento in poppa! Gli anni passano, anche quelli più bui, e resti comunque la più bella.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 09 marzo 2018 alle 00:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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