Un’attesa spasmodica, un evento che visti i tempi appare più unico che raro. Al punto da scaturire frenetici conti alla rovescia sui social e far sì che anche in una partita che, da consuetudine, ha sempre poco appeal come un ottavo di finale di Coppa Italia al martedì sera con un clima gelido che imperversa da giorni su Milano, oltretutto con diretta tv in chiaro, la vendita dei biglietti andasse bene e la cornice di pubblico fosse perlomeno apprezzabile. Perché tutti, in qualche modo, ci tenevano a essere testimoni del grande evento: la prima da titolare di Gabriel Barbosa Almeida con la maglia dell’Inter nel match contro il Bologna. Sembra assurdo, quasi paradossale, parlare in questi termini di un giocatore che qualche mese fa fu presentato in una cornice avveniristica e coi crismi dell’asso dell’oggi e del domani, ma che dopo quel debutto illusorio proprio contro i rossoblu, squadra che torna nel suo destino, in campionato, è scivolato in un oblio di panchine, illusioni, cammei, voci di mercato, presunte insofferenze, tante ironie e il rischio di una ‘saudade 2.0’.

Invece, eccolo qui a godersi la sua prima da protagonista sul campo del Meazza, in un quarto di finale contro il Bologna di Roberto Donadoni che si rivela essere avversario più ostico di quanto preventivabile. Ma andiamo con ordine: Gabigol prova a far capire che è la sua serata, e in una prima mezz’ora dove complessivamente il match non è decollato sostanzialmente è lui quello che prova a far vedere le cose più interessanti. La stoffa del campione non gli manca, questo è fuori di dubbio, anche se è comunque chiaro che di pasta al sugo il ragazzo deve mangiarne ancora parecchia per adeguarsi ai ritmi del calcio italiano. Ma non sembra tipo da dare peso a questo gap, anzi; e il pubblico di San Siro che ne aspetta le giocate e quando arrivano le accoglie con cori di assenso, siano queste anche le più semplici, potranno essergli di grande aiuto. Ma soprattutto, quella vista ieri sera è un’Inter che ha voluto in qualche modo aiutare Gabriel assecondandone la sua euforia, la sua voglia di giocare e di fare bene.

Non solo nell’atteggiamento di Stefano Pioli, che per tutto il primo tempo lo dirige come un direttore d’orchestra personalizzato, sempre pronto a dettargli  movimenti, posizioni, giocate. Quello che fa piacere vedere è come l’approccio della squadra, al netto della sfortuna che ci ha messo del suo sul primo gol subito e della disattenzione sulla seconda rete subita (tutti su Mattia Destro, poi Godfred Donsah fa cucù), sia decisamente improntato al positivo, a livello corale come di singoli. Una squadra che comunque sbanda poco dopo le due sberle subite, nonostante Federico Di Francesco con le sue folate crei qualche grattacapo e Donsah, al di là del gol, ci metta parecchia vivacità. Una squadra dove torna Gary Medel e riallaccia immediatamente il discorso lasciato sfortunatamente a metà nel derby col Milan; dove Rodrigo Palacio non vuole arrendersi  alla carta d’identità e finché ne ha dà l’anima in campo, trovando anche un bel gol con un movimento da punta esperta e letale quale è sempre stato; dove Joao Mario smista palloni con una precisione disarmante e Roberto Gagliardini gioca 210 minuti in quattro giorni dopo essere arrivato all’Inter da neanche una settimana e bisogna andare a scavare molto in fondo per cercare anche solo un abbozzo di giocata non intelligente.  

E dove c’è anche un Geoffrey Kondogbia che continua nel suo grande percorso di rinascimento: un giocatore che dall’eccesso di timidezza denunciato fino a poco tempo fa sembra passato quasi all’estremo opposto, diventando talmente sicuro e talmente generoso al punto da provare cose sin qui viste assai di rado. E sì, anche la sfortunata deviazione che porta al gol Blerim Dzemaili è frutto di cotanta generosità che lo porta a impicciarsi sulla conclusione dello svizzero che non sembrava così pericolosa. Ma soprattutto, c’è lui, il protagonista che non ti aspetti: c’è quel Jeison Murillo che come folgorato da un’illuminazione decide di spaccare la partita con un colpo che da uno del suo ruolo di certo raramente ti aspetti: il colombiano vuole vedere il mondo a testa in giù e con una rovesciata quasi da copertina di album di figurine (perché quella di Carlo Parola, per un cultore storico quale sono resta inattaccabile) decide di entrare nelle sigle di questa stagione e di quelle a venire.  Un gol meraviglioso, che lascia di stucco tutti, forse Murillo stesso; un colpo di genio che magari ti aspetti dal folletto Gabigol, quello designato ai tocchi di magia.

In un mondo perfetto, questo gol sarebbe stato sufficiente per mandare tutti a casa. Ma il bello del calcio è che la perfezione annoia e ci vogliono 120 minuti comunque godibili per chiudere la pratica col tiro sporco di Antonio Candreva che sigilla il risultato e proietta l’Inter ai quarti di finale, con tanto rammarico per un Bologna che si è fatto apprezzare davvero molto per il coraggio e la grinta messi in campo. Una gara dove l’Inter continua a mandare segnali importanti: segnali di fiducia, di voglia di non mollare il punto, e di grande compattezza. Un gruppo che accoglie ogni gol con grande trasporto e che non esita a mettersi in cerchio intorno al proprio allenatore per darsi la carica. L’Inter di oggi è una squadra che vuole dimostrare di avere ritrovato l’unità d’intenti, e in un cammino che è ancora lungo e considerato quelli che erano i presupposti che avevano accompagnato l’ingresso sulla scena di Pioli, è un aspetto fondamentale per poter iniziare un nuovo cammino importante. 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 18 gennaio 2017 alle 00:15
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
vedi letture
Print