A sette anni esatti dall'impresa realizzata dall'Inter contro gli allora marziani del Barcellona, primo mattone sul quale fu edificato il solido castello del Triplete, c'è un filo rosso che unisce quella squadra eroica guidata dallo stratega dell'antimateria José Mourinho a questa Juventus già ammantata di gloria che - dopo la conquista di una semifinale - di punto in bianco ha scoperto di avere DNA europeo trasmessogli in codice dallo specialista di Coppa Max Allegri. Guardando attentamente la storia in filigrana, la linea del tempo che congiunge i due eventi ci aiuta a non incorrere nel solito revisionismo all'italiana che a furia di semplificare finisce per omologare ogni vittoria.

E allora partiamo dall'anno zero, indicativamente fissato con il 22 maggio 2010, giorno nel quale re Mou fuggì dal Bernabeu per poi ritornarci nelle vesti di salvatore della patria madridista minacciata dalla dittatura tecnica catalana. Nel frattempo, in Italia, il vuoto di potere lasciato dallo Speciale One fu colmato proprio da Allegri, generale più fortunato che bravo, che spezzò il monopolio interista prendendo le redini di un Milan che con un colpo di coda di fine mercato si ritrovò in mano Ibrahimovic, alias l'assicurazione sulla vita di una vittoria in campionato. Qui la storia del calcio nostrano dei nostri giorni prese una piega diversa e inaspettata dopo gli anni del post-Calciopoli. La parabola egemonica del livornese, che l'anno dopo deragliò in campo continentale sbattendo guarda caso contro il Barça e Kuipers ai quarti di finale, è presto interrotta anche nei confini nazionali da un allenatore in rampa di lancio, un puro sangue di nome Antonio Conte che restituì dignità ad una Juve calpestata nelle aule di tribunale con la Serie B prima e in campo con due settimi posti di fila poi. Il manager leccese riuscì nell'impossibile e – gol fantasma di Muntari a parte – diede le piste al collega con una rosa in buona parte modesta che però rese invincibile a fine stagione (23 vittorie e 15 pareggi).

Il resto è cosa nota: Allegri, spogliato di Ibrahimovic e Thiago Silva in un colpo solo, arranca in Serie A e strappa sul filo di lana un terzo posto sbandierato dai più come prodigioso, mentre Conte fa il bis. Il tris viene da sé la stagione successiva, quando la Vecchia Signora esagera mettendo in fila 102 punti in un torneo orfano di Allegri, esonerato dopo un indecoroso 4-3 incassato dal Sassuolo. Ma la narrazione ha un turning point imprevisto: Conte e Allegri si scambiano il testimone in 'un ristorante dove si paga 100 euro' e le traiettorie intraprese da entrambi sono quelle ora conosciamo senza fare troppi sforzi con la memoria.

Il primo, dopo aver portato la Nazionale più depressa degli ultimi anni dalla figuraccia mondiale in Brasile ai quarti dell'Europeo francese, è arrivato al Chelsea, laddove sta guidando il campionato del mondo degli allenatori a +4 punti da Pochettino e a anni luce di distanza da Guardiola e Mourinho. L'altro, sbertucciato dai suoi stessi tifosi al suo arrivo a Vinovo, sta conducendo la squadra al sesto titolo di fila, il terzo personale in bianconero, e secondo la stampa italiana è il favorito per la vittoria della Coppa dalle grandi orecchie, appena appena sfiorata nel 2015 nella finale a senso unico (se si eccettua il breve momento dopo il pari di Morata) di Berlino contro il Barcellona.

E voi ora vi chiederete, in tutto questo, cosa c'entra l'Inter? Nei racconti dei grandi trionfi post gloria del Triplete, in effetti, la Beneamata è solo una nota a margine della cronaca, una postilla piccolissima di un romanzo che l'ha vista spettatrice lontana dagli eventi. Ma il discorso di cui sopra si innesta eccome in chiave nerazzurra, ovviamente guardando al futuro: per diventare nuovamente attrice sul palco del grande calcio, l'Inter deve imparare dalla storia degli altri, oltre che dalla propria: se è vero che sarà indispensabile fare un'analisi profonda di quello che non va in casa propria, sarà altresì appropriato cominciare a giudicare con strumenti adatti l'origine dei meriti indiscutibili degli altri. Arrivando a comprendere che l'onnipotenza tricolore della Juve, che da tre anni a questa parte ha gonfiato il petto anche in Europa, non è figlia di una rivoluzione incendiata da un giorno all'altro.

La riappropriazione della propria storia da parte della Juve è avvenuta prima in società, e così la scelta di Andrea Agnelli è ricaduta non casualmente su Conte, estensione naturale in campo dello spirito bianconero che andava ricreato dopo l'anno vissuto nell'Inferno della Cadetteria. E allora, se la Juve - dopo tutte le vicissitudini occorse - ora può guarda al Triplete dell'Inter come a una dolce ossessione da replicare, perché l'Inter non può guardare al cambio di marcia a tutti i livelli operato della Juve del 2011? Magari sperando nella gloria di Diego Cholo Simeone, finalmente campione d'Europa con l'Atletico Madrid e quindi libero di tornare a casa base nella Milano nerazzurra per instaurare nel campionato italiano il regime cholista. 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 21 aprile 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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