Ieri il mondo Inter ha celebrato un ventennale da sogno. Anzi, ha celebrato il sogno. Che come tutti i sogni, non sono poi supportati in pieno dalla realtà. Era il 20 giugno del 1997 quando L'Inter di Massimo Moratti ufficializzò l'acquisto di Luis Nazario da Lima, attaccante brasiliano meglio conosciuto come Ronaldo. Anzi, il Fenomeno. Aveva solo 21 anni, ma il suo smisurato talento aveva già rapito gli amanti del calcio, in ogni sua latitudine.
Dopo aver esordito in Patria nel Cruzeiro, emigra in Europa e inizia a incantare in Olanda dove milita per due stagioni con la maglia del Psv Eindhoven, realizzando 42 reti in 46 partite. Poi la consacrazione definitiva al Barcellona dove, oltre a realizzare 34 gol con 37 presenze diventando così il pichichi, il capocannoniere, vince una Coppa delle Coppe, una Coppa di Spagna e una Supercoppa spagnola. Con la maglia blaugrana, Ronaldo realizza un gol che diventa una cartolina, uno spot, una cosa troppo bella per essere vera. Ed invece era tutto vero. Parliamo della rete segnata sul campo del Santiago de Compostela. Partenza da centrocampo, avversari evitati come birilli correndo a velocità supersonica nonostante almeno tre tentativi di fallo da dietro e pallone scagliato con violenza e precisione in rete una volta annusato il momento di concludere.
Ronaldo era considerato, a 20 anni, il più forte attaccante del mondo, oggetto del desiderio di tutti i grandi club. Chi avesse voluto avvicinarsi a quella star, avrebbe dovuto sborsare tanti soldi, mostrando inoltre tanto appeal per strapparlo ad uno squadrone come il Barcellona. Venti anni fa il calcio italiano era però considerato un punto di arrivo per i grandi campioni e quindi, a differenza di adesso, c'era terreno fertile per tentare l'impresa. Ci provò addirittura la Lazio di Cragnotti, ci fu un momento in cui sembrava proprio che il Fenomeno dovesse sbarcare a Roma sponda biancoceleste, ma la realtà era un'altra, come abbiamo appreso anche dall'intervista realizzata a Massimo Moratti dall'ottimo Mattia Todisco su Mi-Tomorrow. L'unico che si era messo in testa realmente di realizzare il colpo era proprio l'allora presidente dell'Inter, al timone da due anni e già con un pensiero fisso: portare a Milano un grande campione in grado di far sognare i tifosi e quindi lui stesso.
Ronaldo arrivò sulla sponda nerazzurra del Naviglio per 48 miliardi delle vecchie lire, cifra corrispondente alla clausola rescissoria che il Barcellona aveva fissato per il fuoriclasse brasiliano. Dopo la presentazione in sede con tanto di saluto ai tifosi dal balcone, ricordo di aver vissuto dal vivo quella a San Siro. Era il 27 luglio del 1997 quando il Fenomeno indossò per la prima volta la maglia nerazzurra nella gara valida per il Trofeo Pirelli contro il Manchester United. Vinsero gli inglesi ai calci di rigore dopo l'1-1 dei tempi regolamentari. Ronaldo giocò al piccolo trotto un'ora. Ma già la sua figura aveva stregato gli interisti presenti e indimenticabile fu il suo abbraccio ai tantissimi bambini mandati in campo per osannarlo prima della gara.
Lui era un fumetto, con i suoi dentoni che spuntavano quando si preparava a giustiziare il portiere avversario. Il primo sigillo con la maglia nerazzurra alla seconda giornata di quel campionato. A Bologna pioveva tanto, provava a marcare il Fenomeno l'ex Massimo Paganin che ancora adesso racconta con ammirazione e rassegnazione quella finta che lo mandò al bar del Dall'Ara prima del tiro vincente di Ronnie nella porta rossoblù. Dopo quella partita i tifosi dell'Inter di ogni età e di ogni estrazione sociale avevano trovato un motivo in più per seguire la squadra. Le giocate di Ronaldo, i suoi dribbling in velocità, i suoi gol, erano partita nella partita. Lui in campo con la maglia dell'Inter equivaleva ad aver vinto lo scudetto. Perché era brivido, emozione pura, ti sentivi onnipotente e i tifosi delle altre squadre guardavano l'interista con invidia. “Il Fenomeno ce l'abbiamo noi e sono cazzi tuoi”, cantavano in Curva.
Ma come scritto prima, i sogni non sempre corrispondono alla realtà e lo scudetto in quella stagione non arrivò. Ronaldo fu abbattuto da Iuliano nel finale di uno Juventus-Inter decisivo per il tricolore, ma il rigore non fu concesso ed è inutile ricordare le polemiche che seguirono a quella partita che fece esplodere dalla rabbia un signore mite come Gigi Simoni. Il Fenomeno però era tale anche di fronte alle ingiustizie e a Parigi fu protagonista della notte magica contro una Lazio fortissima, ma non tanto da poter arginare la furia nerazzurra. Quell'Inter vinse 3-0, Ronaldo segnò il terzo gol alla sua maniera e Moratti potè alzare la Coppa Uefa, il primo tofeo della sua presidenza.
Purtroppo negli anni seguenti in nerazzurro, Ronaldo fu sconfitto dagli infortuni. Le ginocchia non reggevano quella velocità e quella potenza. Iniziò un calvario intervallato da gol, quelli quando stava bene li segnava di default, e lacrime. Come quelle versate il famigerato 5 maggio 2002, quando uno scudetto già vinto veniva consegnato alla Juventus per un'assurda sconfitta con la Lazio in un Olimpico tappezzato di nerazzurro. Nonostante tutto, il Fenomeno targato Inter realizzò 49 gol in 68 partite disputate. Poi abbiamo consciuto un altro Ronaldo, quello che vince il Mondiale con il Brasile e non ricorda l'Inter nei ringraziamenti prima di fuggire al Real Madrid. E quello, grassottello e goffo, che accetta di segnare ancora, sì era il suo vizio, ma per il nemico cittadino, il Milan.
Molti tifosi nerazzurri non lo hanno perdonato. E dico giustamente. Ma quel sogno di quel cartone animato imprendibile lo abbiamo vissuto solo noi e lo rivendichiamo come se avessimo vinto lo scudetto più bello della storia. Moratti si augura che Suning possa mettere a segno a breve un colpo alla Ronaldo. Gli interisti lo meriterebbero. Per continuare a sognare, ma soprattutto per tornare a vincere.
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