Catapultato nella giornata di mercoledì ad Appiano Gentile dopo aver visto la luce dell'Impero di Suning, lo sciamano Luciano Spalletti ha provato a spiegare con concetti molto ampi cosa si è portato dietro dall'incontro avuto con Zhang Jindong, potenza suprema dell'universo Inter. Il nuovo sacerdote della Pinetina, ancora abbagliato dal carisma accecante del grande capo, ha avuto l'illuminazione sulla via di Nanchino, laddove ha capito che i tempi sono maturi per far coincidere il passato glorioso del club con il futuro ambizioso della proprietà. "Dobbiamo riportare l'Inter dentro la sua storia", ha ripetuto il tecnico di Certaldo come in un mantra. E i chiari riferimenti ai fasti di un tempo - emblematiche in questo senso le citazioni per i due migliori capitani di ventura della storia della Beneamata Helenio Herrera e José Mourinho - vanno dritte in quella direzione: "Ho scelto di venire qui all'Inter per riposizionarla nel ruolo che gli compete. Ho scelto l'Inter perché quando me la sono immaginata ho rivisto la sua storia piena di belle cose e le voglio vivere tutte fino in fondo. Voglio viverla come attore ma anche spettatore privilegiato perché quando la guardi da due posizioni puoi analizzarla meglio di quanto fai solo da dentro. Voglio assorbire tutto quanto riguarda l'Inter dall'inizio alla fine".

In questo discorso, la parola chiave è senza di dubbio il verbo 'assorbire', inteso come l'immergersi totalmente nel flusso delle cose che succedono, senza però rimanerne vittima come già accaduto in tempi recenti ai suoi predecessori; nessuna autocommiserazione nelle parole di Spalletti, che si è talmente identificato con il nuovo mondo dall'arrivare ad utilizzare il 'noi' anche per vicende pregresse a cui non ha partecipato in prima persona. "Mi sembra che non vinciamo niente da qualche anno, per cui o facciamo qualcosa di diverso o i risultati non cambieranno”, l'avvertimento. Il circolo vizioso che si è innescato nel post-Triplete secondo Spalletti – ha generato un vero e proprio scandalo sportivo; il fatto che l'Inter sia rimasta fuori dalla Champions per il quinto anno consecutivo ha costituito una sorta di richiamo per l'ex allenatore della Roma che "ha voluto partecipare a questo periodo di difficoltà per avere poi una reazione importante e corretta".

Ma senza attribuirsi capacità divinatorie, quelle spettano solo a chi nel pantheon della Beneamata ci è già finito con appellativi tipo 'Mago' o 'Special One'. "Io non sono più bravo degli altri, di tutti gli allenatori che mi hanno preceduto, ma sono differente". Sembra un claim pubblicitario, una specie di autopromozione di un allenatore che sa di non essere di gamma per il grande pubblico come certi santoni internazionali (Conte e Simeone) ma che può essere comunque l'uomo giusto, nel posto giusto, al momento giusto. E nulla importa se la scelta è ricaduta su di lui dopo che gli altri obiettivi sono risultati irraggiungibili: "Secondo me davanti a me ce n'erano anche più di due, ma non me ne frega niente, io sono l'allenatore dell'Inter e in questa posizione ci sto bello rilassato".

Il buon Luciano, che a metà giugno ne ha ben donde per pensarla così, arrivando addirittura a dire che l'Inter "è stata la cosa più bella che potesse capitarmi", si accorgerà presto che quella signora che una sera lo ha fermato per dirgli “Cavoli tuoi ora che sei l'allenatore dell'Inter” non aveva poi così torto.

"Per me non è così" ha ribattuto Spalletti con forza. D'altronde parla da uomo di esperienza, parla da profeta rinnegato al ritorno nella sua patria calcistica per aver diviso Roma anziché unirla sulla questione Totti. Ma se nella Capitale Spalletti ha dovuto gestire l'uscita di scena nella storia del Pupone per accompagnarlo nella leggenda, a Milano dovrà riportare il mito decaduto dell'Inter nell'alveo del destino di chi è obbligato a vincere.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 16 giugno 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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