Finalmente, mi viene da dire. Finalmente siamo inciampati, con buona pace di quelli che il VAR vi aiuta, quelli che siete in alto solo per fortuna, quelli che ritiro la squadra dal campionato, c’è un complotto per far andare avanti l’Inter, quelli che abbiamo preso tre pali e loro ogni tiro un gol. Che se stiamo a fare l’elenco di quanto capita in casa altrui ci sarebbe da scrivere per pagine e pagine. Ma a me piace pensare di non essere come gli altri, di non menarla con le liste di proscrizione, di accettare le decisioni del VAR anche quando a prenderle è un signore chiaramente non all’altezza per di più sbagliando, leggendo il protocollo VAR questo mi sembra e questo continuerà a sembrarmi ma questo NON può e NON deve essere una scusa o, peggio, un appiglio patetico che NON ci appartiene per giustificare la sconfitta di sabato - parliamo di una innovazione che dalla prossima stagione sarà presente nei maggiori campionati del vecchio continente con buona pace di chi la vive come una persecuzione stile santa inquisizione e ne fa una questione tale da non dormire la notte; per fortuna sono sempre meno gli attivisti del no VAR, qualche nostalgico dei bei tempi passati e poco più, per fortuna davvero – pertanto di quanto si ciarla nel mondo non nerazzurro, sarò sincero, mi interessa poco che dire nulla potrebbe suonare ineducato.

Al di là di analisi tecnico-tattiche, che non portano a niente il giorno dopo se fatte da noi tifosi, sostituzioni giuste o sbagliate, calo fisico o mentale, pali o non pali, VAR si VAR no, quel che mi lascia da pensare sono alcuni presunti tifosi dei colori del cielo e della notte. E qui non parlo dei tifosi da salotto contrapposti a chi va allo stadio, dal mio punto di vista non esistono differenze; chi è tifoso è tifoso e basta, senza etichette. Parlo di quelli che ogni scivolone, ogni incidente di percorso, ogni pipì di cane li vivono come se non ci fosse un domani; di quelli che io ve l’avevo detto, sono degli scarsoni e l’allenatore non ci capisce nulla, di quelli che io lo sapevo, bisogna cacciare tutti e rifare la squadra da zero. Ecco, è a loro che penso, a chi quando vinci si eccita come un bambino che apre i regali di Natale e quando perdi ammorba la vita di amici e parenti con elucubrazioni figlie di ragionamenti senza un nesso logico. Stare sul famoso ed inflazionato carro è facile finché le cose vanno per il verso giusto, finché sei primo in classifica e guardi tutti dall’alto verso il basso; il difficile arriva quando devi supportare i tuoi colori, quando il vento gira al contrario e ti tocca sforzarti per cercare di rimanere sulla rotta, con la barra a dritta.

Bello, bellissimo sentire il coro che ha accompagnato la fine della partita con l’Udinese, una partita sfigata ben oltre ciò che il campo ha raccontato e persa per orrori difensivi dopo quarantacinque minuti, i primi, chiusi su un misero pareggio pur avendo dominato in lungo e in largo facendo passare agli avversari la metà campo una volta sola, tramutatasi in gol oltretutto. Gli applausi del Meazza, i cori sinceri verso la squadra credo siano il miglior toccasana soprattutto per chi è sceso in campo; capita ragazzi, capita di perdere anche immeritatamente, il calcio è un gioco e non una scienza; il segreto sta nel saper rialzare la testa in fretta, gettandosi alle spalle quel che è stato e ricominciando a correre come nulla fosse successo. Quei cori, quegli applausi nonostante tutto, ne sono certo, infonderanno all’ambiente nuova linfa e una carica ancora maggiore; significavano va bene, è andata male ma avete dato tutto quanto, la prossima volta vi saremo ancora accanto per aiutarvi e supportarvi con la nostra voce ed i nostri cuori.

A molti, non parlo di giocatori né dirigenti né allenatore, l’aria di alta quota ha fatto parecchio male. Continuo e continuerò, se necessario, a ripetere lo stesso concetto; eccezion fatta per tre innesti – io li considero di ottimo livello ma è una mia opinione, non un giudizio insindacabile – gli altri otto appartengono ancora alla squadra che appena cinque mesi fa chiudeva il campionato settima, subissata da fischi, pernacchie, insulti e maledizioni, a trenta punti dalla prima e ad oltre venti da seconda e terza. Ora, a me – forse solo a me – non sembra che il mercato abbia portato in rosa Cristiano Ronaldo, Messi, Pelè, Vavà, Didì o Maradona; e nemmeno che i proclami di agosto fossero all’insegna del si parte alla ricerca dello scudetto. Anzi. Profilo assai basso, tanta corsa e silenzio, in un clima di sottotraccia che non ricordavo dalla metà degli anni settanta, epoca nella quale l’Inter passò anni bui e disastrati. L’essersi trovati così in alto, tredici punti più del campionato passato quando a quest’ora eravamo tagliati fuori da tutto, e con tutto intendo proprio tutto, non era preventivato; questo, l’anno uno dell’era Spalletti e per me l’anno uno dell’era Suning, veniva considerato come un campionato di posizionamento, con un occhio da prestare al bilancio (il FFP continua tristemente a romperci le palle e sarà così anche a gennaio) e l’altro alla ricostruzione di un gruppo, una squadra, un insieme di buoni giocatori da miscelare per cercare di raggiungere il nostro scudetto, la qualificazione alla prossima Champions League. Perché questo era ed è ancora oggi l’obbiettivo, non fatevi coinvolgere dalle chiacchiere senza senso di chi ti considera una seria pretendente al titolo salvo poi massacrarti alla prima difficoltà. E, considerando i distacchi di maggio scorso, sommando il fatto che le prime tre non si sono indebolite, anzi, a me pare di essere pienamente in linea con le aspettative.

Certo, l’appetito vien mangiando, restare attaccati al treno provoca un certo solletico come non capitava da anni; ad oggi, comunque, abbiamo perso male una partita, non siamo all’armageddon, alla fine del mondo. Rialzarsi, ricominciare come se nulla fosse accaduto, con una tifoseria che per la stragrande maggioranza ha capito i ragazzi, li segue e li sostiene. Quelli che una domenica su ed una giù dal carro si accomodino; l’uscita è in fondo al corridoio, indifferente se a destra o a sinistra. Amatela, sempre. E buon inizio settimana a Voi!

Sezione: Editoriale / Data: Lun 18 dicembre 2017 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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