"Ricordati che devi morire!". "Sì, sì, no... mo me lo segno proprio. C'ho una cosa... non vi preoccupate".

Luciano Spalletti ci aveva scherzato su alla vigilia del derby, riportando alla memoria il grandissimo Massimo Troisi. L'allenatore di Certaldo ha preso nota delle parole di Mirabelli (recidivo), ha incamerato il concetto e poi è passato all'incasso. Milan a -10, perché le chiacchiere possono anche accattivare le simpatie estive, ma poi è il campo che parla.

Una differenza notevole quella tra l'Inter e i rossoneri, non concretizzatasi pienamente nel risultato più per demeriti propri che per meriti altrui. E allora, visti i tanti elogi piovuti sulla squadra nerazzurra dopo il 3-2 nella stracittadina, è forse il caso anche di precisare alcuni concetti per quanto riguarda le mancanze. Sempre tenendo presente che i derby non si giocano, si vincono e basta.

Innanzitutto bisogna dire che è mancata cattiveria nel primo tempo: 45 minuti dominati in lungo e in largo, con una sola squadra in campo a voler colpire e l'altra tutta chiusa a riccio. Si poteva e doveva andare al riposo almeno con due gol di scarto, perché era stata limpida la supremazia sui milanisti.

L'altra nota negativa da registrare è l'ennesimo rientro in campo dopo l'intervallo non propriamente adeguato. Era già accaduto, ad esempio, con Fiorentina e Roma. Eccessiva difficoltà che ha prodotto un paio di chance per i rossoneri e poi l'1-1 evitabilissimo (in tre vanno sulla sovrapposizione di Musacchio lasciando Suso libero di rientrare sul sinistro).

Che l'Inter però fosse più squadra, più gruppo, più tutto rispetto al Milan lo ha confermato lo spezzone successivo al pareggio. L'assetto si è dato una nuova regolata e soltanto la dimenticanza di Cancelo ha causato il 2-2 in un momento nel quale era invece più nell'aria il 3-1. Per vincere, poi, è servito un regalo di Rodriguez, che ha fatto scopa con quello dell'ex Valencia.

Insomma, l'Inter ha confermato di essere sul percorso corretto per tornare grande, ma che grande ancora non lo è totalmente. Al di là di quanto dica la classifica attuale, infatti, i nerazzurri non sono ancora un complesso in grado di dettar legge contro chiunque. E il derby è lì a certificarlo. Una squadra consapevole al 100% delle proprie forze avrebbe sbranato un avversario come il Milan in chiara difficoltà, tecnica e psicologica, non consentendogli in alcun modo di mettere in discussione una vittoria che – al netto delle consuete lagnanze di Montella – è stata del tutto legittima e meritata.

Manca quell'ultimo gradino e Spalletti lo sa bene. Lo sa meglio di chiunque altro. Intanto, però, le solide basi sono state poste. E il fatto di non lamentarsi mai per le assenze, benché pesanti vista la ristrettezza della rosa, è lì a dimostrare tutto il valore del lavoro del tecnico toscano.

Un'Inter forte mentalmente ancor prima che tecnicamente. Un'Inter consapevole dei propri limiti e, proprio per questo, in grado di mascherarli. Un'Inter che sa di poter morire e che, per sicurezza, se l'è pure segnato. "Non vi preoccupate". Perché il pensiero d'immortalità poi genera vizi, cadute e dolori. E, magari, pure 10 punti in meno.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 17 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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