“Ho sentito tanti interisti parlare di sentimento e io lo condivido, perché nella mia epoca non bastava solo giocare bene. Abbiamo combattuto tutte le squadre e un sistema corrotto che abbiamo scoperto tutti. Ci meritavamo tante cose in più”. Citazione: Ronaldo, al secolo Luis Nazario de Lima, per tutti semplicemente il Fenomeno. Venerdì sera, nel contesto della nomina dei primi quattro calciatori dell'Inter entrati nella Hall of Fame nerazzurra, una bella serata che celebrava anche i 110 anni di storia del club, il brasiliano si è guadagnato questo importante riconoscimento. Lui, nella scelta dei tifosi che hanno votato, ha più diritto di Giuseppe Meazza e Alessandro Altobelli a risiedere nel Gotha dell'Inter. Qualcuno magari ha storto il naso, memore degli aspetti negativi di un rapporto d'amore finito però male, come succede alle storie più intense, quelle che ti lasciano il segno. L'addio tra i fischi e gli insulti a fine agosto 2002, il ritorno in Italia con la maglia del Milan, quella combo gol+esultanza in risposta ai fischi assordanti di chi, per scelta, lo chiamava solo 'numero 99'. Materiale per sbattergli definitivamente la porta in faccia ce ne sarebbe, se fosse stato un calciatore normale. Ma lui non lo è mai stato e mai lo sarà, perché il Fenomeno non ha nulla da spartire con altri colleghi del passato, del presente e forse del futuro. Chi lo ha voluto inserire ufficialmente nella storia del club nerazzurro evidentemente ancora ricorda cosa Ronaldo ha rappresentato per il tifoso interista.

Nell'estate 1997 Massimo Moratti si fece un regalo che nessuno pensava potesse permettersi. Perché nulla era impossibile, anche allora. L'annuncio ufficiale, la firma nella sede di via Durini e poi quel saluto, dal balcone, a centinaia e centinaia di persone che avevano sfidato il caldo umido milanese solo per dargli il benvenuto, o per vederlo con i propri occhi. Quell'immagine fu come un'epifania per l'ambiente nerazzurro, che finalmente intravedeva la possibilità di tornare ai fasti del passato, quando alla guida c'era l'altro Moratti, Angelo. Il campo fece il resto, perché quella squadra allenata da Gigi Simoni, uomo perbene e mai sopra le righe, arricchita da giocatori che oltre a valori tecnici erano pregni di personalità e umiltà, riuscì davvero a sfidare lo status quo guidata dal marziano. Chiunque l'abbia affrontato sul campo ha una sola parola per descriverlo: immarcabile. Tecnica finissima abbinata a una forza fisica e a una velocità sopra la media: roba mai vista, anche oggi. E noi interisti lo abbiamo ammirato all'apice della sua carriera, quando la gente si alzava in piedi e rimaneva in religioso silenzio ogni volta che riceveva palla, nell'attesa che mostrasse qualcosa da raccontare ai nipotini.

Ce l'aveva fatta, Ronaldo, a riportare lo scudetto nella Milano nerazzurra a 9 anni dalla cavalcata dei record. E con il tricolore, è arrivata anche la Coppa UEFA. Non l'Europa League moderna, ma una competizione vera, tosta, con avversari di grande livello sin dai primi turni eliminatori. L'albo d'oro rivela però un'altra verità: quello scudetto lo vinse la Juventus. Ma chi 20 anni fa riusciva a distinguere il bene dal male sapeva che qualcosa di sporco si era materializzato. Sentiva puzza di bruciato. Gli episodi controversi, anche smaccatamente, erano stati troppi nell'arco di un campionato. Troppi per essere ridotti a mera chiacchiera da bar. I social non c'erano, ma il sentore comune era chiaro e come oggi certi organi di informazione/giornalisti cercavano di minimizzare, infilando la testa sotto la sabbia. E il tempo ha tolto la maschera anche a loro.

Venerdì sera, con le parole sopra citate, Ronaldo ha detto in modo semplice ciò che oggi qualcuno ha volontariamente dimenticato. Come in uno dei suoi dribbling secchi a tutta velocità, il brasiliano, nonostante qualche chilo di troppo, ha lasciato sul posto i fautori del revisionismo, rispolverando concetti certificati dalla giustizia ma accantonati da insurrezioni popolari guidate da chi ha interesse a cambiare la storia anche a 12 anni dalla rivelazione del marciume. Trascinando così le nuove generazioni e gente talmente priva di personalità da accettare una realtà drogata rispetto a quella pura e semplice. Semplice come le parole di Ronaldo. Nessun dubbio sul fatto che questo testo porterà a reazioni non richieste, offese comprese, di coloro che hanno scelto di prendere la pillola rossa piuttosto che quella blu (in effetti leggendo certi commenti del giorno dopo si perde fiducia nel genere umano...). Ma non è un problema. Chi ha scelto di fidarsi dei propri occhi sa com'è andata. E lo sa soprattutto il Fenomeno, diventato simbolo 20 anni fa della rivolta nerazzurra, supportata da appassionati disgustati dal sistema. Dopo quel fatidico Juventus-Inter, aprile 1998, il numero 10 di allora andò davanti alle telecamere parlando di 'vergogna da mostrare a tutto il mondo'. Circa un'ora prima era stato Simoni a farlo, con toni più accesi. Entrambi, rei di essersi opposti all'ingiustizia, vennero squalificati (sanzione poi tolta al giocatore). Qualche anno dopo la storia diede ragione a entrambi e a tutti coloro che non riuscivano più a credere alla buona fede di questo sport.

Ovviamente, non sono mancate le reazioni alle parole di Ronaldo all'Hangar Bicocca. Quel nervo per alcuni è ancora tremendamente scoperto e la verità è troppo scomoda per accettarla. Anche dopo 20 anni. Anche da parte di chi le definisce 'veleno' sulla Juventus, mai nominata dal diretto interessato. Il Fenomeno potrà piacere o no al tifoso nerazzurro, ma nessuno può negare che incarni alla perfezione l'opposizione al revisionismo, per il semplice fatto di aver vissuto sulla propria pelle quello schifo. Un po' come tutti gli interisti che nel 1997 sognarono grazie al suo arrivo e nel 1998, prima di alzare la Coppa UEFA sotto il cielo di Parigi, rimasero impotenti di fronte allo scempio. Avrà anche vestito i colori sbagliati, ma mai come oggi Ronie è un simbolo dell'interismo. Da Hall of Fame.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 11 marzo 2018 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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