Cosa manca all'Inter per tornare grande? Al tormentone che ci ha accompagnato in questi ultimi cinque anni sono state date risposte e soluzioni diverse, non sempre in linea con le reali possibilità dei nerazzurri: un regista, Simeone, Mourinho, le ali, lo stadio di proprietà, un presidente "più vicino", Messi, Ibrahimovic, Dzeko (il cui innesto farebbe aumentare l'autostima degli altri centravanti), la fusione con il Milan, una macchina del tempo che ci ridia la squadra del Triplete (le ultime due proposte sono dell'ex ad Paolillo). Purtroppo dal limbo senza vittorie in cui annaspa l'Inter da un tempo che sembra eterno non si esce con le parole ma con i fatti. Per questo Thohir in questi giorni si sarebbe sdoppiato tra Milano e la Cina, sempre accompagnato dai fedelissimi Bolingbroke e Gardini, così in tre avrebbero potuto dividersi le spese dei taxi di Pechino.
Al centro della questione, come è noto, c'è l'ingresso in società dei partner cinesi, che garantirebbe un aumento di capitale spendibile anche sul mercato. Escludendo il ritorno di Ibra, che ha fatto capire che tornerebbe a giocare a San Siro solo nel caso in cui fosse eretta una sua statua al posto del Duomo, è logico che molte operazioni nonché il futuro prossimo della squadra dipenderanno dalle attese novità nell'asset societario. Thohir non si sbilancia sulle trattative con il Suning Group, il colosso cinese che potrebbe prendere il 20% dell'Inter, e poco altro filtra dalle cimici che abbiamo piazzato nelle stanze di Appiano, se non che lo sponsor tecnico dovrebbe passare da Nike a Nyke. "Non possiamo rivelare i dettagli", ha dichiarato il patron, nell'intervista concessa al Corriere dello Sport, in cui ha spaziato dal campo al mercato (strano che il quotidiano non gli abbia chiesto dei primissimi obiettivi Dzeko e Benzema).
L'Inter non venderà sei titolari, ma "al massimo due o tre": scartate le partenze dei big Icardi, Perisic e Miranda, tra i possibili indiziati non c'è neppure Nagatomo che ha da poco rinnovato fino al 2019, proprio perché il club punta ad aumentare il ricavato degli abbonamenti attraendo sempre più tifosi che vogliono insultarlo. Le quotazioni si abbassano invece per Brozovic, Murillo e probabilmente uno tra Melo e Medel. Se la scorsa estate si parlava dell'Inter dei pitbull, quest'anno prepariamoci a vedere una squadra senza museruola, con meno muscoli ma più qualità e cervello, grazie all'innesto importantissimo di Banega, che potrebbe risolvere la lacuna principale della squadra: un giocatore che, insieme a Kondogbia, in mezzo al campo sappia fare un passaggio di 20 metri.
Non aspettiamoci un'altra rivoluzione ma solo dei piccoli ritocchi: questo in sintesi il pensiero che hanno lasciato trapelare negli ultimi mesi i vertici nerazzurri. Mancini aspetta a braccia aperte il figlioccio Yaya Touré, ma in questo caso, tra ingaggio e costi dell'operazione, dovrebbero combaciare molte tessere del puzzle. Anche quello del 33enne ivoriano sarebbe un innesto determinante per puntare da subito in alto, accompagnato dalla fame di tornare a vincere che deve essere propria di un club con la tradizione storica dell'Inter. Non l'"hambre" dell'Atletico di Simeone, il cui ritorno con un altro ribaltone in panchina sarebbe ciò che meno servirebbe al progetto nerazzurro, ma la "faim" fredda e lucida di Zidane, che dalle ceneri del "fracaso" di Benitez è riuscito a far tornare il Real nella sua dimensione (mentre Rafa continuerà ad allenare pure in Championship il Newcastle dopo che la dirigenza inglese gli ha garantito la conferma della torta alle amarene nei pranzi).
La sfrontatezza (metaforica) di Zizou e di Cristiano Ronaldo, che ha chiesto apposta di calciare per ultimo il rigore della finale di Champions League con l'Atletico, contro la sfrenatezza di Griezmann, Juanfran e la "garra" del Cholo, spentasi di fronte all'opportunità di entrare nella storia. L'Inter è molto di più di una squadra che deve risorgere e Mancini, che guarda caso ha fissato sin dal suo arrivo paletti altissimi sia per gli obiettivi di mercato che di risultati, lo sa bene. Serve il materiale umano che, parafrasando Zanetti, capisca cosa vuol dire indossare questa maglia, ma la base è già solida, come dimostrano la prima parte della stagione da capolista e gli sprazzi della seconda: in estate, con i limiti imposti dal Fair Play, bisognerà lavorare solo per migliorarla. L'Inter non commetta l'errore di pensarsi piccola, ma prenda invece spunto dall'esempio di Zidane, tecnico che nelle scelte, a volte anche azzardate, e nei modi di vivere il calcio e trasmettere il suo credo è molto simile a Mancini, al contrario di Simeone. Gli sono bastati piccoli accorgimenti razionali e una nuova fiducia e compattezza nel gruppo per portare il suo Real all'Undécima nel trionfo di San Siro, stadio che l'Inter deve assolutamente far tornare a essere un fortino. E dove nonostante tutto pure Kovacic ha alzato un trofeo.
Autore: Daniele Alfieri / Twitter: @DaniAlfieri
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