Prosegue a suon di punti la marcia di avvicinamento dell'Inter alle verifiche che contano dopo la sosta, vedi derby e trasferta a Napoli. Domenica, prima della pausa, ci sarà il viaggio a Benevento contro una neopromossa che dopo sei gare si trova all'ultimo posto in classifica con zero punti, un solo gol realizzato e 16 reti subite.

La Beneamata, imbattuta e costretta al pareggio solo in quel di Bologna, si trova a soli due punti dalla coppia regina formata da Juventus e Napoli, le due corazzate che a detta di tutti si contenderanno lo scudetto. I nerazzurri hanno segnato 12 reti, quarto attacco del campionato insieme alla Roma, dopo Napoli (22), Juventus (18) e Lazio (13). L'Inter registra però finora la migliore difesa del torneo con sole due reti incassate, quella del giallorosso Dzeko e del bolognese Verde. Numeri che gratificano e nel calcio, di solito, si dice che i numeri dicano sempre la verità sulla reale forza di una squadra. Ma questa Inter, anche e soprattutto dopo l'ultimo successo, quello del Meazza all'ultimo respiro contro il Genoa, continua a non piacere, a far discutere, non solo i giornalisti che per lavoro devono raccontare e analizzare e i tifosi di altre squadre autorizzati a minimizzare i successi dell'avversario, ma anche gli stessi supporter nerazzurri che continuano a riempire lo stadio e a presenziare numerosi in trasferta, ma poi tornano a casa con un sapore strano in bocca. Bisogna ascoltare l'umore di chi ti vuol bene, molto di più di chi attacca perchè non vede l'ora del tracollo. E allora se il popolo nerazzurro, nonostante i numeri in precedenza snocciolati, mugugna, è dovere del club, dai dirigenti all'allenatore, ai calciatori, capire cosa in questo momento non piaccia ai tifosi.

Abbiamo già scritto che l'Inter non può più permettersi di sbagliare dopo sei stagioni consecutive senza sentire la musichetta della Champions League, cosa che fa ancora più male pensando a chi si stata l'ultima italiana a portarla a casa dopo quella fantastica annata che regalò il Triplete. È chiaro come anche l'errore più banale venga ora amplificato, la stessa vittoria deve essere netta per convincere i più scettici a gioire con convinzione. La paura che tra poco si torni a rivivere la mediocrità recente condiziona i giudizi e non si può biasimare chi nutre forti dubbi anche quest'anno. È vero che dopo gli sprazzi di bel calcio fatti vedere in precampionato e nelle prime due uscite ufficiali vincenti con Fiorentina e Roma e con la stessa Spal, ci si apettasse molto di più. E invece le gare con Crotone, Bologna e Genoa sono state un buon sonnifero per gli insonni che hanno avuto sussulti sul divano solo nel finale quando i gol hanno portato in dote sette punti, frutto di due vittorie e un pareggio, l'unico conseguito.

Dico la verità: se contro il Crotone ero convinto che alla fine la squadra ce l'avrebbe fatta e che a Bologna pensavo alla vittoria dopo il rigore messo a segno da Icardi, contro il Genoa mi stavo rassegnando ad uno squallido 0-0, temendo addirittura la beffa finale quando i liguri si avvicinavano alla nostra area di rigore. Quante ne abbiamo visti di film simili? Penso a Inter-Torino del 2015 o a Inter-Cagliari della scorsa stagione. E invece tal Danilo D'Ambrosio ha pensato, a due minuti dalla fine, di colorare la domenica di nerazzurro. Con un gol che significa molto, al di là del fatto che abbia regalato i tre punti. Per i più significa che l'Inter di Luciano Spalletti stia andando avanti a colpi di fortuna o di culo, termine che va più di moda. Può darsi, ma quando i colpi di sedere (vedi quanti modi per poterlo dire) iniziano ad essere numerosi, allora forse c'è anche dell'altro. Ad esempio, c'è un diciannovenne di nome Karamoh che entra nel tempio, dribbla gli avversari e soprattutto i luoghi comuni sull'emozione dell'esordio in uno stadio come il Meazza. L'ex Caen provoca l'angolo decisivo, il signor Joao Mario sfrutta la qualità del suo piede e Danilo D'Ambrosio dimostra ancora una volta che la classe operaia, quando vuole, può andare in paradiso. Questa volta per indirizzare la palla in quell'angolo dove nessuno aveva il diritto di intromettersi. Questo non è solo culo, è anche tigna. Voglia di andare oltre i limiti che, oggettivamente esistono. La squadra non corre, il pallone non viaggia, rotola, molti uomini chiave sono fuori fase, in primis Borja Valero, costruttore di gioco per antonomasia.

Che fare allora? Perdere le partite? No, l'Inter di Spalletti ha l'antidoto alla sconfitta che si chiama abnegazione e voglia di fare. Forse anche senso di appartenenza. Lo abbiamo visto nella corsa di Icardi per sventare un gol del Genoa, lo abbiamo visto nell'abbraccio collettivo a D'Ambrosio che si è beccato anche un bacio da Spalletti. Il mister urla, ma sa ringraziare chi lo aiuta a vincere le partite. Dopo quel gol anche lo stadio che si apprestava a fischiare, è esploso come se si fosse segnato il gol vincente in una finale di Champions (giuro, da noi è successo). Si discute ancora del mercato, di chi poteva arrivare e invece non è arrivato. Del blocco alle potenzialità economiche di Suning imposto dal governo cinese. Della mancanza di un trequartista, dei dubbi sulle capacità di Dalbert etc etc. Tutto giusto, tutto lecito. Ma intanto io mi tengo, culo o meno, le cinque vittorie e un pari in sei gare. Mentre altri, all'ora di pranzo, affondavano colpiti anche dal nostro amico Ricky Alvarez. What else?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 27 settembre 2017 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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