Tre giorni ancora e il campo tornerà a parlare. Al Meazza c’è il Parma che, con tutto il rispetto per un gruppo di giocatori che naviga in pessime acque ma non si tira indietro, in modo professionale, dovrebbe essere ampiamente alla portata dei nerazzurri. Marzo è alle spalle, neanche la scaramanzia offre più scusanti e la classifica delle due squadre impone ottimismo. Lo stesso che, in tutta franchezza, è difficile trovare in un momento di vacche magre. Ed è per questo che, da bravo tifoso, anche quello nerazzurro pensa già al futuro, con aspettative alimentate da colui che, pur lavorando in mezzo a mille contraddizioni, sta ‘vendendo’ un futuro radioso a chi di speranze ne ha sempre meno: Roberto Mancini.

Al di là dei risultati maturati finora, di cui in parte anche lui è responsabile, devo riconoscere al Mancio una dote significativa: quella di sapersi destreggiare in modo egregio davanti alle telecamere o, come spesso accade, a un computer. Rispetto a quello scivolone che nel marzo 2008 gli costò la gogna pubblica e, probabilmente, la panchina dell’Inter (chi non ricorda le sue dimissioni post-Liverpool, ingenuo tentativo di dare una scossa alla squadra?), di passi avanti ne ha fatti, eccome. Oggi è persino molto più simpatico di qualche tempo fa, quando il furore agonistico lo portava talvolta a varcare certi limiti. La serenità con cui vive questa seconda vita nerazzurra è quasi contagiosa, ti dà l’idea che, nonostante l’evidenza e le premesse poco entusiasmanti, ci possa essere un futuro degno del blasone dell’Inter. E il modo migliore è dare al popolo, come d’uopo nell’antica Roma, panem et circenses. Virtuali, per il momento.

Così, racconta Giovenale, gli imperatori imbonivano la plebe, dandole ciò che le permetteva di divertirsi, di distrarsi, di accantonare per qualche ora i problemi. Strategia politica che pagò a lungo e fu la chiave del rafforzamento dell’impero. Da novello Cesare, il Mancio sposta le attenzioni dal campo, contesto sconfortante, alla prossima stagione, assicurando che la sua squadra gareggerà per lo scudetto (panem) e lo farà con una rosa competitiva, di grandi giocatori (circenses). Si tratta di una promessa, senza alcuna garanzia specifica o concreta a parte il nome e il volto di chi si espone. In tal senso, la credibilità di Roberto Mancini, utile durante il mercato di gennaio e, si spera, anche in estate, esercita grande fascino presso il tifoso nerazzurro. Dà sicurezza, quel tepore necessario dopo anni di freddo gelido, di contraddizioni e, inutile girarci intorno, di fallimenti.

Anche su Facebook, soddisfacendo le curiosità dei sostenitori interisti 2.0, il Mancio mostra una qual certa disinvoltura quando parla della prossima stagione: Ausilio sta lavorando, Darmian piace, arriverà un top player, Kovacic resta, la rosa cambierà, ho in mente qualche nuovo innesto e via dicendo. Tanta roba, aggiungo io, perché non è così facile guardare avanti con sano ottimismo quando le premesse non invitano a farlo. Rosa ancora inadeguata, poco budget da investire, ispettori Uefa stressanti: insomma, c’è più di un motivo per non credere in un mondo migliore. L’allenatore però la sua campagna mediatica della fiducia la porta avanti, perché se il campo ti tradisce a qualcosa bisogna pur aggrapparsi per non perdere i favori e la fiducia dei tuoi primi giudici, per cui lui nutre grande considerazione. E se una fetta significativa di quei 60 milioni stanziati personalmente da Thohir venisse affidata ad Ausilio, le parole acquisirebbero concretezza.

Disincantato dalle ultime prestazioni, anch’io preferisco guardare avanti. È una prassi consolidata che mi porto dentro dagli anni ’90, quando in estate l’Inter vinceva tutto e poi, per una ragione o per l’altra (non mi dilungo sui motivi, sono prescritti), restava a mani vuote. So cosa significa illudersi, e all’epoca giravano molti più soldi per farsi convincere. Oggi restano solo le parole cariche di ottimismo di un allenatore che, alla fin fine, se si esprime con tanta sicurezza e ripetitività, quasi fosse un mantra, forse qualche garanzia tecnica e finanziaria l’ha avuta. Dopo tutto, c’è in ballo anche la sua credibilità di manager di calibro internazionale e sarebbe un peccato comprometterla. A meno che non si tratti di un enorme Pesce d'Aprile. Oggi cadrebbe a fagiuolo, domani no.

Sezione: Editoriale / Data: Mer 01 aprile 2015 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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