Vi chiedo scusa ma nulla assomiglia, neppure lontanamente, ad Inter-Milan; il derby è qualcosa che si dissocia totalmente col resto del campionato, perché nessuno scontro avrà mai tanta valenza quanto quello con i dirimpettai, con coloro che abitano l’altra sponda del Naviglio. Non quella sbagliata, badate bene; semplicemente l’altra. Lo scrivo essendo conscio che questa rivalità, questo vivere la stracittadina in maniera così totalizzante, appartiene con ogni probabilità solo a chi Milano la frequenta nel quotidiano; per altri, per molti nerazzurri, la vera battaglia sportiva è quella che si consuma con la Juventus. Perdonatemi, stavolta non sono sintonizzato su questa lunghezza d’onda; perché il derby, io nato a Milano e che mi nutro giorno dopo giorno di questa città, dei suoi luoghi, dei suoi misteri, delle sue storture e del suo essere la più mitteleuropea tra le metropoli italiche, è la sfida.

Chi la vince potrà bullarsi per qualche mese prendendo in giro il cugino sconfitto, chi la perde potrà consolarsi con altri successi o una classifica più importante ma, fino al ritorno, la sconfitta brucerà più di un peperoncino sulla lingua che siamo in fascia protetta ed altre esemplificazioni non sarebbero consone, così come altre parti anatomiche. Entri al bar: “un caffè Antonio, grazie”. E Antonio, che non aspetta altro da tutta la vita: “e vi abbiamo fatto il culo eh?” con risolini annessi. Poi vai dal panettiere, che conosci da vent’anni ed ha il negozio tappezzato di poster che cominciano da Rivera e finiscono a Maldini ma fa il pugliese, la pizza e la focaccia più buone della città, entri: “Giuseppe, tre michette, un trancio di margherita e un pezzo di genovese”. E Giuseppe, che si è vestito con la maglietta di Pierino Prati ed è lì che ti aspetta perché sa che tu andrai da lui comunque, sei troppo orgoglioso ed affamato per saltare l’appuntamento quotidiano col companatico e non presentarti sarebbe assai peggio, nemmeno ti risponde. “Dammi tre euro e cinquanta, che oggi mi sembri triste. Qualcosa non va a casa?” sghignazzando sotto il baffo. Lo vorresti sfanculare, ma ti mancano gli argomenti e balbetti sul genere…stavolta è andata così ma ci vediamo in primavera… e la tristezza ti sale veramente, porca zozza. Ma, almeno, lo sfottò meneghino è sano e divertente; le due curve ormai hanno imparato a convivere con la stracittadina da anni ed anni, il livello di sportività tra tifosi è altissimo.

Certo i cori e gli insulti ci sono, inutile negarlo, ma si limitano ad uno pseudo folklore che appartiene alla vita da stadio; insomma, i tanto vituperati ultras, in occasione del derby rossonerazzurro danno il meglio di loro stessi, trasformando la partita in una festa di colori, rumori, striscioni e coreografie. Ché una volta fischiata la fine magari ci si trova pure al bar a bersi una birra insieme; insomma, se hai perso ci si trova comunque ma tu hai le palle girate e gli altri no. Non è roba da poco. E per riprenderti ti ci vuole qualche giorno, possibilmente lontano da trasmissioni sportive ed immagini lancinanti. Nei 109 anni di stracittadine – leviamone due di anni per la precisione, e non a causa nostra – si sono succeduti talmente tanti retroscena, curiosità, aneddoti ed episodi che non basterebbe un libro per raccontarli.

I ricordi, nella settimana che precede il derby, si affacciano alla memoria; come quando, era il 1972 ed io un bimbo che dalla mattina aveva indossato la maglietta nerazzurra in spasmodica attesa, piansi tutte le mie lacrime per una sconfitta che giunse dopo una rimonta che per pochissimo non ci consegnò un pareggio incredibile. Tre a zero dopo il primo tempo, tre a due al minuto novanta. E alle 19, quando la tivù di stato ci degnava di trasmettere un tempo registrato di una partita del pomeriggio – anticipi, posticipi, bimbumbam e chi più ne ha più ne metta non esistevano neppure cercando di immaginare il futuro – quella maledetta sera andò in onda quel maledetto Milan-Inter, con mio padre sul divano che guardava disinteressato ed io che piangevo andando a spegnere la televisione. Lui la riaccendeva ed io, sempre piangendo, la spegnevo. Tutti ridevano tranne me; quelle sono cose che ti segnano per la vita, ma se non le vivi direttamente non potrai mai capire. Dopo cresci con problematiche esistenziali difficili da far comprendere a chi non si era vestito dal mattino di nerazzurro in attesa della partita ed aveva sofferto come una bestia in gabbia durante “Tutto il calcio minuto per minuto”, mangiandosi le unghie sulle dita delle mani in maniera compulsiva ed ossessiva. Episodi che ti restano dentro e ti porti dietro per sempre. Gioie e dolori che si miscelano in un cocktail perfetto; come l’anno in cui ascoltai in macchina un derby raccontato dalla radio e che dominammo, anzi stradominammo, 5 a 1. Fu la mia personalissima rivincita per quel bastardo 3 a 2, lo spiattellavo in faccia a chi tifava per gli altri come un biglietto da visita. Del tipo: ciao sono Gabriele e ho vinto il derby cinque a uno. 

Lasciamo stare i ricordi, che sennò davvero potrei annoiarVi per ore ed ore, e veniamo ad oggi; perché oggi è quello che conta. Ed oggi l’Inter ha una grande, grandissima occasione; mandare i cugini a meno dieci, lontano da tutto e da tutti, relegandoli in una posizione di classifica che neppure i più nefasti presagi pre-campionato avrebbero potuto immaginare. Non dobbiamo avere paura, non dobbiamo nemmeno cadere nel tranello del tanto i favoriti siete voi; il Milan è a meno sette, ha qualche problema di amalgama e di gioco, ma ha anche uomini in grado di fare male. Ci sarà bisogno di garra, di cuore e di tanto cervello. Ci sarà bisogno di una grande prestazione, di concentrazione massima, di evitare con accuratezza errori e sbavature; stiamo imparando, stiamo studiando, stiamo cercando di apprendere quello che Spalletti vuole insegnare. Sette partite, diciannove punti; alzi la mano chi non avrebbe firmato ad inizio stagione per un cammino così prepotente. E lasciamo perdere il gioco o il non gioco; ho visto squadre vincere campionati grazie ad uno a zero striminziti, figli di grandi difese e cinismo acuto. E non capisco perché se a farlo sono gli altri vengono etichettati come grandi collettivi, se lo facciamo noi non soltanto dobbiamo beccarci le critiche di buona parte dei media, è il gioco, ma addirittura di alcuni tra i nostri stessi tifosi; i quali, forse, hanno una memoria cortissima e non ricordano da dove veniamo. O che, forse, pensavano Spalletti riuscisse a portare in tre mesi l’eden al Meazza. Poco importa, a me interessa vincere, di partecipare mi sono ampiamente rotto le palle. È una grandissima occasione, lo ripeto, cerchiamo di prenderla al volo; certi episodi possono davvero indirizzare una stagione. Avanti Inter. E una buona domenica a Voi!

Sezione: Editoriale / Data: Dom 15 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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