Prima di iniziare a dedicarci all’Inter come squadra e società, è impossibile non iniziare dal pubblico interista. Perché c’è qualcosa di magico e ancestrale nel rapporto che lega il tifoso nerazzurro alla sua squadra, quasi inspiegabile nella sua indomabile sostenibilità. L’Inter ha trascorso gli ultimi anni a colpire sé stessa con indicibile senso del masochismo, si è auto fustigata con stagioni interpretate in modo indecente da giocatori di passaggio e disagi societari che hanno creato imbarazzi ai tifosi, i quali si sono arrabbiati ma mai al punto da abbandonare la squadra. Mai. Il pubblico a San Siro non è mai mancato, brontolando, sospirando e minacciando di non tornare mai più. Questa stagione le premesse del calciomercato erano altre, la campagna acquisti ha deluso, anche se svolta correttamente e Spalletti, probabilmente rassicurato dalle intenzioni del gruppo Suning, ha dato la benedizione agli acquisti. Eppure ecco una campagna abbonamenti che procede benissimo e quasi 60.000 spettatori per Inter-Spal in un giorno di pioggia. Il tifoso interista non è tutto uguale ma gli si può, anzi deve riconoscere quel primato ineguagliato di essere vicino alla squadra a prescindere dal risultato. La vera vittoria per l’Inter è questa, nella speranza che se la meriti.
Per ora le cose, come dimostra la terza vittoria consecutiva ottenuta con la Spal, vanno molto bene. L’Inter è in testa alla classifica, gioca in modo ordinato e segna molto come dimostrano gli otto gol in tre partite. Gagliardini, che in questi mesi non ho amato particolarmente e verso il quale mantengo un’aspettativa non troppo alta, mi ha invece colpito per lo spirito, il dinamismo e finalmente una maggiore predisposizione al tiro. Se continuasse a crescere sarebbe un gran bel giocatore, al pari di Skriniar, che ha confermato le sue qualità difensive e che sarebbe uscito da San Siro con un’ovazione se quel tiro dalla distanza non avesse colpito la traversa. Dalbert invece non ha mostrato granché, sembrando impacciato in difesa contro Lazzari, specie alla mezzora del primo tempo, quando veniva superato con eccessiva facilità. Prese le misure ha trovato gli equilibri ma ha spinto poco ed è parso scolastico. Brozovic non sembra invece mentalmente all’altezza della crescita che si pretende da un giocatore delle sue qualità. Quel piglio eternamente scocciato, quell’atteggiamento ciondolante che ad ogni scelta sbagliata gli fa allargare le braccia come un adolescente incompreso, rendono Brozo un corpo temporaneamente estraneo. Al contrario Perisic sta diventando un leader e la sua partita di lotta e marcatura lo conclama idolo di una tifoseria in cerca di veri punti di riferimento.
Nel complesso resta complicato giudicare l’Inter perché essere a punteggio pieno e venire da un precampionato molto positivo abbaglia l’opinione, annacqua il tentativo di critica costruttiva e crea un ottimismo che rischia di generare il consueto brusco risveglio privo di equilibrio al primo inciampo. L’Inter gioca in modo semplice, ha meccanismi ordinati e calciatori che con esperienza sanno spesso cosa fare. L’organizzazione di gioco si sta sviluppando e probabilmente in questi mesi raggiungerà livelli persino entusiasmanti. Il sistema difensivo però mantiene una fragilità ben nascosta dall’andamento dei match, dà l’ingannevole sensazione che la squadra sia ben protetta e non subisca gol grazie ad una diversa interpretazione rispetto agli anni precedenti. Non è ancora così. Perché se nel primo tempo la squadra è parsa presente, intensa e collaudata, nel secondo ha scambiato la volontà di abbassare il ritmo con il calo di concentrazione. In pratica nei secondi 45 minuti era come vedere l’Inter dello scorso anno, incerta, in balia della partita e col pallino del gioco in mano agli avversari. La differenza è che Skriniar pare essere solido, persino più di quanto lo sia Miranda. La giustificazione c’è e viene dalla sosta per le nazionali che hanno impedito a Spalletti di lavorare con la squadra, oltre ad una condizione fisica e mentale figlia dei viaggi dei giocatori tornati solo a metà settimana a disposizione.
Ecco dunque che il giudizio risulta positivo, se le attenuanti hanno un valore. Spalletti pensa in grande, moderatamente in grande visto che considera Juve e Napoli superiori. Non so se riuscirà davvero a fare il capolavoro di portare l’Inter nelle prime quattro, considerando che a contendersi i posti c’è anche la sottovalutata Lazio. Tuttavia mi piace sempre un allenatore che alza l’asticella, pensa in grande, gestisce le situazioni e non fa dichiarazioni normalizzatrici. Gli allenatori bravi sul campo meritano rispetto ma per allenare una squadra come l’Inter serve una vena di follia, di presunzione o arroganza per arrivare a risultati che non saranno mai delegati al solo lavoro in allenamento e a pensare partita dopo partita. L’Inter deve pensare, per statuto, ad obiettivi anche sopra le proprie capacità. Se pensa di puntare al quarto posto finisce con l’arrivare quinta o sesta. Mai accontentarsi. Amala.
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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