Davvero un ragazzaccio, Xherdan Shaqiri, che blocca il mercato dell'Inter tirandosela a più non posso invece di accettare il trasferimento allo Schalke 04 o chissà dove. No, non è per niente carino da parte sua svincolarsi dalle responsabilità assunte nei confronti del club che lo ha salvato dalla crisi di coppia con Guardiola. E pensare che quell'ormai lontanissimo 8 gennaio la gente dell'Inter lo aveva accolto con un calore che in Baviera aveva riscontrato solo durante i festeggiamenti di un titolo, che fosse la Champions League o il Meisterschale, accompagnati da fiumi di birra. Invece i tifosi, quella sera a Malpensa, erano ebbri solo di entusiasmo e tanta, tantissima speranza, per l'arrivo di un giocatore di livello internazionale e con un luminoso futuro davanti, meglio persino del Lukas Podolski sbarcato 6 giorni prima.

Scherzi e ironia a parte, quante cose sono cambiate. Lo svizzero, che avrebbe guidato la rinascita nerazzurra iniziata dalla firma di Roberto Mancini e convinto a scegliere Milano proprio dalla fiducia mostratagli dal tecnico, è addirittura un epurato, un separato in casa, senza polemiche ci mancherebbe. Semplicemente, l'Inter lo ha prima venduto allo Stoke City, quindi sta cercando di rispedirlo in Germania, a Gelsenkirchen, per rimpiazzarlo con il più affidabile, sulla carta, Ivan Perisic (che è super, aggiungo io). E la gente, la stessa che l'8 gennaio scorso era fisicamente o idealmente a Malpensa ad accogliere XS_11official, oggi si chiede come mai un perno della nuova Inter, arrivato in anticipo per acclimatarsi e pagato la bellezza di 15 milioni più bonus, sia già stato impacchettato e spedito altrove.

Il calcio non è mai stato scienza esatta, tantomeno all'Inter. Si pensi a Danilo D'Ambrosio, fino a qualche giorno fa giudicato incedibile e oggi presente nella lista degli epurati in attesa di offerte concrete. O a Davide Santon, tornato all'Inter durante lo scorso mercato invernale e subito impostosi come titolare, salvo poi sparire dai radar per ragioni non ancora chiare, probabilmente le stesse che hanno spinto la dirigenza a cederlo al Watford. Salvo incassare il suo garbato ma deciso 'no'. Su Lukas Podolski meglio soprassedere, ancora nessuno lo sapeva ma con il senno di poi è stata solo la classica relazione estiva, di quelle che nascono e muoiono in un arco temporale ben preciso. Praticamente, l'unico a resistere dopo il mercato di riparazione è Marcelo Brozovic, che tra un mezzo sorriso e qualche panchina è riuscito a conquistare la fiducia di Mancini. Dategli una medaglia, se la merita.

Tornando a Shaqiri, leggendo qua e là la stragrande maggioranza dei tifosi lo tratterrebbe volentieri e non riesce ancora a capacitarsi della scelta, a mio parere irrevocabile, del club di cederlo senza rimetterci un euro. Neanch'io conosco realmente le ragioni, posso provare a stilare alcune ipotesi maturate in 5 mesi di militanza nerazzurra dello svizzero:

1) Non si è rivelato il giocatore che Mancini sperava di aver portato a Milano. L'allenatore necessitava di un esterno, ma si è ritrovato in squadra un trequartista. Incapace, a suo parere, di fare la differenza sul rettangolo di gioco. Credibile.

2) A Mancini non sono piaciuti alcuni atteggiamenti dello svizzero, che alle panchine reagiva con insofferenza e una volta chiamato in causa a partita in corso agiva in modo indisponente, creando confusione e cercando di vincere le partite da solo. Plausibile.

3) Il club non ha gradito alcune sue dichiarazioni fuori dal campo, in cui invitava la società a darsi una mossa e a far chiarezza sui propri obiettivi, investendo di conseguenza sul mercato, come se questa fosse al suo servizio e non il contrario. Possibile.

4) L'Inter, allenatore compreso, si è resa conto di aver effettuato un lauto investimento nei confronti di un giocatore sopravvalutato, inadatto alle caratteristiche del calcio italiano, impreparato dal punto di vista tattico e poco avvezzo all'apprendimento. Una cantonata, in altre parole, a cui bisogna porre rimedio immediatamente. Difficile.

5) Il FFP impone all'Inter di cedere per rientrare degli investimenti in entrata e Shaqiri è uno dei pochi che garantisce un incasso significativo, o quanto meno sgrava il bilancio societario del costo del suo cartellino e dell'ingaggio. Realistico.

6) Il giocatore è caduto in fallo fuori dal campo, macchiandosi di comportamenti poco in linea con il codice etico societario e pertanto è decaduta la fiducia nei suoi confronti. Improbabile.

Non so se una (o più di una) delle sopra citate ipotesi coincide con la realtà dei fatti, la cui unica certezza vede Shaqiri ormai con le valigie in mano. L'assenza dalla trasferta di Istanbul è la certificazione da parte del club, ma i 'buchi' in questa vicenda permangono. Umanamente spiace per questo ragazzo, arrivato a Milano con tanta voglia di riscatto e convinto proprio dall'allenatore ad accettare il progetto nerazzurro, da protagonista. Lo stesso che ha avallato la sua cessione, e il motivo non va certo ricercato nel numero limitato di calciatori da ascrivere alla rosa. Se l'Inter, come è evidente, ha ambizioni di riscatto, cede gli esuberi, non i punti fermi.

Ammetto, inoltre, di essere io stesso rimasto più che sorpreso dalla decisione della dirigenza di intavolare discorsi per l'addio dell'ex Bayern. Alcune settimane fa, ironia della sorte poche ore prima della bomba Stoke City, confrontandolo con Salah avevo asserito con sufficiente sicurezza che l'Inter la sua scelta l'aveva fatta nel gennaio scorso e non avrebbe puntato su un doppione. Previsione azzeccata al 50%, visto che comunque l'egiziano si è accasato a Roma e non a Milano.

Intanto, stasera a Istanbul va in scena un'altra amichevole pre-stagionale della squadra (senza Shaqiri ma con Miranda e Jovetic) e, mi unisco anch'io al coro, il risultato lo lascerei alle mere statistiche. Contano le sensazioni, le prestazioni e gli errori in campo, perché è su quelli che Mancini e il suo staff devono lavorare. Se tutto filasse liscio subito, rimarremmo tutti vittime del mito della caverna di Platone. Salvo renderci conto con colpevole e irrimediabile ritardo della differenza tra la realtà e la sua ombra. Ma l'incontro potrebbe essere anche l'occasione buona per definire l'arrivo alla corte nerazzurra di Felipe Melo, proprio colui che quasi tutti i tifosi interisti, con la stessa passione con cui per il momento hanno salvato Kovacic, stanno osteggiando apertamente. E forse è per questo che mi sta simpatico nonostante la fama da duro.

Posso concordare sulle valutazioni di natura tecnica, di certo il brasiliano è più vicino, come profilo, alla modalità falegname piuttosto che designer. E il fatto che in rosa sia presente Medel, che ha caratteristiche simili, aumenta le perplessità. Ma non sopporto quei tifosi, e ce ne sono tanti, che si oppongono anche con epiteti offensivi nei confronti di Melo solo per i suoi trascorsi juventini. "È un gobbo e non lo vogliamo", l'espressione più pubblicabile. No, questo non va bene. Innanzitutto, perché aver giocato nella Juventus in passato non può essere una macchia indelebile, si tratta pur sempre di professionisti che accettano le proposte a loro più congeniali in quel momento.

In secondo luogo, giorni fa ho ripescato sul web un'intervista in cui lo stesso ex bianconero ammetteva candidamente di "odiare la Juve per il trattamento ricevuto durante l'esperienza a Torino, anche da parte dei tifosi". Link che ho postato su Twitter e che lo stesso Melo ha aggiunto ai suoi preferiti, confermando così quelle parole. Che, alle orecchie di un interista, dovrebbero suonare come musica. Ora non mi aspetto un'accoglienza in pompa magna se e quando sbarcherà a Malpensa (fosse per lui sarebbe stato già a Brunico), ma chiedo gentilmente ai tifosi di non opporsi all'arrivo di Felipe Melo solo perché pensano sia un gobbo. Una motivazione che non regge.

 

Sezione: Editoriale / Data: Dom 02 agosto 2015 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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