"Serve una proprietà che stia geograficamente al fianco della squadra e dell'allenatore”. Quante volte abbiamo sentito pronunciare a vario titolo questo concetto, magari per evidenziare le lacune gestionali di qualche imprenditore straniero del mondo del calcio distratto nei confronti della sua creatura lontana migliaia di chilometri? Tante, forse troppe.
L'asserto costruito ad hoc da qualche benpensante è stato messo a dura prova mercoledì sera dal presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis, patron italianissimo che le vicende della sua squadra le segue talmente da vicino da arrivare a studiare persino la mossa disperata dell'ambasciatore iconico partenopeo Diego Armando Maradona per affrontare a viso aperto il miedo escénico del Bernabeu di Madrid. L'one man show DeLa, ultimo rappresentante dei padri padroni abituati a mettere i soldi per rinforzare la squadra ma anche il naso negli affari che competono squisitamente al tecnico, ha pensato bene, dopo il 3-1 con cui i campioni del mondo hanno regolato Hamsik e compagni, di lanciarsi in un'intemerata inopportuna e intempestiva contro Maurizio Sarri, stupito il giusto dall'atteggiamento sovente sopra le righe del suo datore di lavoro che poche ore prima lo aveva esautorato facendo entrare il Pibe de Oro in quel posto sacro quale è uno spogliatoio di una squadra di calcio.
L'esempio di AdL è solo l'ultimo caso esemplare di una galleria di intromissioni non proprio richieste di ficcanaso autorevoli, il cui capostipite è certamente Silvio Berlusconi, presidente uscente del Milan, che non ha risparmiato nessuna delle varie guide tecniche della squadra da battute al vetriolo proprie del personaggio a tutte le latitudini, non solo a quelle del calcio. E allora, via con i tormentoni: dal 'cantante di Sanremo' Tabarez, al 'sarto distratto' Zaccheroni, passando per il 'testardo' Leonardo, per finire con l'aforisma dedicato ad Allegri 'No el capisse un casso'. Tutte etichette appiccicate sopra tanti, praticamente tutti, i protagonisti inconsapevoli di una storia rossonera dal finale tragico.
Tutto questa lunghissima digressione, non si fosse capito, è propedeutica per analizzare con tutti gli elementi sufficienti del caso lo strano caso Inter, club passato di mano lo scorso giugno al colosso Suning, residente nella lontanissima Cina, dopo l'interregno indonesiano di Erick Thohir. E proprio con il tycoon, che ancora oggi mantiene la carica di presidente della Beneamata, le distanze avevano informato i tifosi nerazzurri della fragilità del progetto, che alla fine della fiera si è ridotto unicamente allo 'Scudetto di bilancio' con la UEFA attraverso il 'Settlement Agreement' in materia di Fair Play Finanziario. A ET, oltre ad una conduzione strettamente sportiva non certo irreprensibile, si è sempre imputato una certa distanza di sentimenti nei confronti del club, corroborata anche da una certa ritrosia a scucire euro freschi per rilanciare il club nella top 10 mondiale (questo il suo disegno dichiarato e mai perseguito). Un cortocircuito che si è materializzato con la distanza, geografica e non, tra le varie anime del club che portò alla scelta anacronistica e scriteriata di ingaggiare come nuovo tecnico Frank de Boer dopo il triste tira e molla con Roberto Mancini. In tutto questo, Erick Thohir ha anche condito la sua non indimenticabile parentesi alla guida dell'Inter con dichiarazioni spesso fredde, quasi distaccate, e comunque mai rassicuranti. Leggere per credere il discorso prima di Inter-Torino, l'ultimo ufficiale ad oggi da lui pronunciato da numero uno del club, nel quale confermava il suo appoggio totale a FdB, per poi silurato neanche una settimana dopo.
Da quel 26 ottobre, Suning ha preso in mano la comunicazione adottando una strategia semplice ma efficace sin dalla notte dei tempi: “poche parole, tanti fatti”, il motto di Zhang Jindong.
Dopo aver ufficialmente silenziato Thohir, che ora si esprime solo con post su Instagram, il gruppo di Nanchino ha mosso passi da gigante nel rapporto con i media riuscendo nell'impresa di far diventare riflessivo persino Massimo Moratti, adeguatosi felicemente al ruolo zen su invito forse diretto di Mr. Z: "In questo caso ci vogliono la sua saggezza e il suo silenzio intelligente", ha commentato l'ex patron parlando dei veleni del post di Juve-Inter. Un silenzio di lì a poco rumoroso, che ha amplificato la sua potenza con il comunicato in risposta alle attenzioni non gradite e mai ricambiate della Vecchia Signora nei confronti dell'Inter: "Ognuno ha la propria storia, noi abbiamo la nostra e ne siamo orgogliosi", il sunto del discorso.
Un messaggio dal quale traspare tutta la fierezza di essere gli unici ad avere una proprietà lontana solo geograficamente ma molto vicina al sentimento della società, tanto da comprenderne appieno il senso di appartenenza rispettandone fedelmente la storia. Gradita eccezione in questo periodo di globalizzazione nel quale il provincialismo diventa megalomania.
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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