Mesi di grandissimo lavoro tecnico, tattico e psicologico buttati parzialmente all'aria per una politica difficile da comprendere per chi, come noi, mastica calcio da sempre. Luciano Spalletti, nonostante un mercato estivo monco, aveva compiuto un miracolo: restituire all'Inter identità, dignità, senso e brillantezza. La squadra non era stata bellissima, ma tremendamente pratica: esattamente quello che ci si aspetta da una big italiana. Poi la flessione, fisiologica, anche per via dei pochi ricambi. Quando i titolarissimi hanno cominciato a tirare il fiato, ecco l'apnea: solamente due sconfitte (ora sono diventate tre), ma tanti pareggi (accettabili) e pareggini (fastidiosi).

Così si arriva a gennaio e il giudizio è unanime: servono rinforzi. Concorda anche la parte italiana della dirigenza, tant'è che Ausilio e Sabatini pressano Suning per soddisfare le richiesta del tecnico. Badate bene: richieste non eccezionali, ma necessarie per non rischiare di stare fuori dai primi quattro posti. Ramires sembra una formalità, Pastore idem. Forse mai nella storia del calciomercato due giocatori si sono esposti così tanto come i due sudamericani. Così come forse mai come stavolta tutte le parti sono d'accordo: nessun bastone tra le ruote. E allora? E allora ci si mette papà Zhang, dalla Cina, a bloccare tutto. Rimasti vani gli appelli dei direttori e del tecnico, ad Appiano arrivano solo Lisandro Lopez e Rafinha.

Due le conseguenze negative: la prima, ovvia, a livello tecnico-tattico; la seconda a livello di umore. A Marassi mancavano Miranda, Perisic e Icardi: appena tre assenze, eppure sembrava fossero quindici. E se il forfait del difensore è stato coperto adeguatamente, non altrettanto si può dire con gli attaccanti. Spalletti, a Genova, si voltava in panchina per recuperare il risultato e vedeva ragazzini, gente con mezz'ora di autonomia o gente con le valigie in mano fino al 31 gennaio. Una pena. Il boomerang della sessione invernale, in secondo luogo, si è concretizzato in tutta la sua negatività anche a livello ambientale: insoddisfazione e frustrazione che, inevitabilmente, si riverberano in campo e condizionano i risultati.

A questa squadra serviva un aiuto. Aveva meritato un aiuto. Invece, per l'ennesima volta in questi ultimi anni, si è deciso per l'azzardo: magari la Roma crolla, magari la Lazio farà peggio. O magari no.

Come dite? Il Fair play finanziario? Beh, ma quello c'era pure a maggio o a giugno. C'era quando si parlava di #interiscoming o di "giocatori controllati", da Vidal a Nainggolan. E c'era quando Di Maria non andava bene perché "in quel settore ci serve una dose ragguardevole di gol". Insomma, se l'Inter s'è fermata sul mercato il motivo non è solo il FFP, ma il diktat cinese seguito alla lettera da Suning. Peccato che, se l'azzardo non dovesse riuscire, l'Inter – senza Champions – perderebbe molto più di quanto non avrebbe fatto accontentando le richieste sportive a gennaio. Senza dimenticare che questo club è rimasto mesi e mesi senza un direttore generale e, di fatto, è senza presidente da oltre un anno.

Sarà un un caso se nella mente riecheggiano queste parole?

"Look up here, I'm in Heaven
I've got scars that can't be seen
I've got drama, can't be stolen
Everybody knows me now"

(David Bowie - Lazarus)

Sezione: Editoriale / Data: Mar 20 febbraio 2018 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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