Doverosa premessa: a editoriale già pronto, è arrivata la notizia dell'esonero di Stefano Pioli e della 'promozione' di Stefano Vecchi a tecnico della prima squadra per le ultime tre partite della stagione. Al di là della tempistica davvero grottesca, la fine di questa giornata incredibile rappresenta l'incipit ideale per il racconto di una stagione da girone infernale. Il traghettatore Caronte arriva in extremis a coronamento di un nuovo capitolo paradossale della saga interista iniziato in un assolato pomeriggio genovese. 

Minuto 87 della sfida di Marassi tra Genoa e Inter: la rovesciata acrobatica, probabilmente più adatta ai fotografi che concreto pericolo per il portiere del Grifone Eugenio Lamanna trova l’opposizione col braccio di Nicolas Burdisso; Antonio Damato non ha troppe esitazioni e concede un calcio di rigore forse generoso. In quel momento, Gabriel Barbosa Almeida ha l’illuminazione: prende palla e si dirige baldanzoso verso il dischetto, convinto di voler cogliere l’opportunità per raddrizzare l’ennesima giornata da dimenticare e di poter così ribaltare le prospettive sue, e, forse, della sua squadra per l’ultima parte del campionato. Ma sulla sua strada si frappone Antonio Candreva che dopo un battibecco fa valere gerarchie e una punta di ‘nonnismo’  e si prende la responsabilità. Col risultato di calciare una mezza mozzarella che rende quasi inutile anche il consiglio di Danilo Cataldi al compagno fra i pali, tanto era prevedibile e flebile la conclusione.

Si è chiuso così, con questo clamoroso sputo in faccia alla fortuna che una buona volta si era mossa a pietà e aveva provato a dare un po’ di respiro a questa annata di tenebre e apnea continua, l’ennesimo capitolo della tragicommedia Inter 2016-2017, un’opera farsesca che si sta stancamente trascinando verso gli ultimi atti, quelli nei quali l’Inter proverà perlomeno a centrare (???) il tanto declamato sesto posto che varrebbe lo scomodo preliminare di Europa League con tutte le scomodità tecniche, logistiche e fisiche a esso annesse, in una corsa che i protagonisti stanno vivendo con un entusiasmo tale da onorarla con una serie di capitomboli incredibili e di prestazioni imbarazzanti. Peseranno davvero così tanto il fascino e i comfort dell’Hotel Bellagio di Nanchino, promesso quartier generale della tournée asiatica di quest’estate, un altro pianeta rispetto all’incubo di qualche alberghetto non così lussuoso da usare come ritiro di fine luglio in qualche angolo sperduto del vecchio Continente?

Altro che luce alla fine: ormai l’Inter, tanto per usare una vecchia battuta da cabaret visto che forse una risata potrà dare un po’ di sollievo in questi tempi di rabbia, ulcere e lacrime amare, il tunnel nel quale si è infilata con picchi più o meno clamorosi dal 2011 ha finito con l’arredarselo. Tanto bella e illusoria è stata la cavalcata della prima parte della gestione di Stefano Pioli, contraddistinta da belle vittorie anche se è sempre mancato l’acuto vero, il guizzo contro una delle formazioni più avanti dei nerazzurri in classifica, a parte la mitragliata all’Atalanta che però si è rivelata quasi controproducente; quanto desolante e raccapricciante è il deserto di gioco, idee e carattere mostrato da Mauro Icardi e compagni negli ultimi 50 giorni circa, quelli fatali. Sembra in un certo senso di rivivere la situazione del finale di stagione 2012-2013, con le varianti non di poco conto del valore della rosa che non regge nemmeno un centesimo di paragone con quella di oggi e della caterva impressionante di guai fisici anche seri che costrinsero il malcapitato Andrea Stramaccioni, l’uomo del primo blitz assoluto allo Juventus Stadium, a fare le nozze coi fichi secchi e scaduti. Già da allora, però, anche su questi schermi si reclamavano chiarezza e pulizia, si faceva presente l’urgenza di cambiare marcia ma non soltanto per quel che riguarda la squadra, ma anche per tutto quello che vi era intorno.

Cosa è cambiato da allora? In senso assoluto poco e niente. E sì che di cambiamenti, anche epocali, in casa Inter se ne sono vissuti parecchi, basti pensare solo ai due cambi di proprietà nel breve spazio di tre anni. Ma di risultati concreti, praticamente, nemmeno l’ombra. Anzi più passano gli anni e più all’Inter impera la confusione, l’imperizia, l’approssimazione. Il quadro a tinte fosche che se ne ricava è quello di un ambiente cupo, invivibile, quasi da Inferno dantesco. E senza voler scomodare necessariamente il sommo Poeta e tutti i 34 canti della prima cantica dell’opera pietra miliare della cultura e della letteratura italiana, varcare i cancelli di Appiano Gentile non è certamente  come andare oltre la cavità sotto Gerusalemme ma è possibile perlomeno scorgervi diversi aspetti della dannazione sportiva raccontabili in terzine dantesche.

Alcuni esempi: al di là del varco d’ingresso della Pinetina sembra esserci una nuova palude Stigia. Quella, per intenderci, dove erano immersi insieme gli iracondi e gli accidiosi, le anime colpite dai peccati della rabbia e al tempo stesso dell’indifferenza e dell’indolenza. Impossibile non notare la similitudine: accidiosi, ormai, lo sono diventati i giocatori, che anche per candida ammissione di alcuni di loro hanno definitivamente staccato la spina una volta capito che la buona catena di risultati ottenuti fino a metà marzo non aveva portato i frutti sperati lasciando che questo finale di stagione scorresse nella malinconia e nella penuria globale. Iracondi, dall’altro lato, sono i tifosi, che anche quest’anno hanno fatto la loro parte facendo registrare nuovi picchi di presenze allo stadio e come premio hanno dovuto assistere ad ultimi spettacoli assolutamente indecorosi, e giustamente hanno fatto capire di averne le tasche piene.

Ci sono poi i maghi, quelli che, a torto, hanno pensato di avere per le mani una squadra che potesse davvero lottare per il terzo posto (magari con l’aiuto di quelli che il Sommo poeta definiva ‘consiglieri fraudolenti’), rendendosi tardivamente conto che il livello individuale comunque alto non si è tramutato in una giusta alchimia di squadra, tanti polinomi che hanno dato vita ad un’equazione algebrica non risolvibile.  C’è chi magari sente anche l’odore della presenza di ‘seminatori della discordia’, e chi sicuramente arriverà ad additare tutti i protagonisti di questa stagione disgraziata come dei ‘traditori’: traditori dei colori, del sentimento, dei valori dell’interismo. Anche qui, il peccato più grave, quello dei cerchi più ristretti. Il tutto mentre l’ignavia colpisce chi ancora non riesce a capire che la svolta passa anche da decisioni drastiche anche per ciò che è al di sopra della squadra, e una proprietà arrivata da poco attende di dare le prime sferzate per evitare di rimanere ancora a lungo nel limbo di color che sono sospesi. (e per favore, evitiamo allusioni sui 'violenti contro se stessi'...). 

Ricostruzione forse azzardata, parallelismo che probabilmente farà inorridire i cultori di Dante. Ma in tutto questo marasma una certezza è inconfutabile: l’Inter e gli interisti, ora, chiedono solo di uscire al più presto a riveder le stelle. E chissà che i grandi scossoni notturni non siano il primo passo di un maggio rivoluzionario come si diceva quasi cinquant'anni fa...

 

Sezione: Editoriale / Data: Mer 10 maggio 2017 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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