Ha parlato molto in questi giorni, Erick Thohir. Giocando in casa, negli States, il presidente si è trovato a proprio agio e ha approfittato degli impegni della squadra nella GICC per accontentare i cronisti presenti oltre Oceano. Qualche riflessione sul sistema calcio italiano, sui modelli da seguire ma non da copiare, sulla strada innovativa intrapresa a livello di management, sulla qualità di gioco offerta dall'Inter e, ovviamente, sul mercato. Pillole, indicazioni e poco altro, nel suo stile. I nomi, come al solito, dopo gli annunci. Con conferma, minimo sindacale, dei due profili cercati: centrocampista (Medel, manca davvero poco) e attaccante (che al momento, dopo l'accantonamento di Jovetic, porta il nome di Pablo Daniel Osvaldo).
C'è però una dichiarazione che a mio modo di vedere ha fatto chiarezza su un argomento che sta ancora a cuore a molti tifosi: l'addio a Cambiasso. Decisione per molti ancora incomprensibile, vista l'età e la caratura tecnica, tattica e umana del personaggio (che, come Samuel, ha rifiutato la Sampdoria per non trovarsi mai a sfidare la sua Inter: applausi), e che è stata sommariamente spiegata con la necessità di un rinnovamento complessivo che non ha fatto prigionieri. Thohir lo ha spiegato nuovamente, nelle ultime ore: "Detto che ci sono ancora tanti argentini e Zanetti è vicepresidente, era una questione di età media, visto che abbiamo già qualcuno oltre i 30 anni e altri molto vicini. Anche per questo abbiamo preso gente come Dodò e M’Vila, che hanno meno dei 26,5 anni di media che ci proponiamo come obiettivo. Poi perché ritenevamo che soprattutto in quella posizione servisse gente giovane su cui costruire un progetto tattico. Vogliamo un gruppo base che stia insieme per i prossimi tre anni. Non potevamo ritardare il cambiamento". Motivazioni logiche, estremamente in sintonia con il progetto pluriennale di una squadra che, pur non godendo di top player, vuole crescere nell'arco di un triennio assieme ai singoli giocatori che ne compongono la rosa.
Questa la versione ufficiale del club e del presidente, che però poco prima, nella medesima intervista, aveva dato tra le righe e senza fare nomi un'altra, significativa, visione della vicenda. La stessa che ha accomunato il destino di tutti gli eroi del Triplete che hanno lasciato il campo (Zanetti) o l'Inter (Milito, Samuel e Cambiasso) dopo anni di fedele e irripetibile attaccamento alla maglia. "Per fare una grande stagione serve che ogni componente vada al massimo. Sarà fondamentale anche il lavoro alla Pinetina. Negli allenamenti ma pure in spogliatoio, dove non voglio che si creino clan o gruppi". Chiaro riferimento a quello che all'esterno è stato definito, ironicamente, Clan dell'Asado.
Diciamoci la verità, non è una leggenda metropolitana, il clan è esistito e aveva un peso politico enorme nello spogliatoio, tale da trainare tutti gli altri giocatori. La connazionalità di alcuni di essi ha creato un sottogruppo ben definito, lasciando molti colleghi al di fuori dello stesso. Ma un contesto del genere non ha influito sull'unione di intenti della squadra, che in campo ha (quasi) sempre remato nella stessa direzione. Però è chiaro come il sole, nonostante qualche timida smentita, che gli argentini più esperti avessero le redini dello spogliatoio, spesso più di molti allenatori che hanno pagato con l'allontanamento la scarsa sintonia con alcuni di loro. Non è nulla di scandaloso, fa parte della natura umana cercare propri simili e unirsi a loro creando dei sottoinsiemi. È accaduto in molte grandi squadre del passato, solo che all'Inter è stata data, volontariamente, un'accezione negativa. Soprattutto quando le cose andavano male, dimenticando il periodo di trionfi. Per i quali il clan è stato determinante.
Thohir, che ha avviato un repulisti dirigenziale impressionante sulla precedente gestione, ha colpito anche la rosa nerazzurra non rinnovando i contratti degli eroi del Triplete, ai quali Moratti era particolarmente legato. Nessuna ripicca, solo la volontà di fare tabula rasa e di rinunciare a chi, visti i pregressi, avrebbe potuto influire sulla nascita di un nuovo gruppo, privo sì di memoria storica ed esperienza nerazzurra, ma con tutte le intenzioni di affrontare il futuro senza rimanere legato al passato. Di argentini ne arriveranno altri (l'ultimo, in ordine di tempo, dovrebbe essere Osvaldo), ma l'intenzione è amalgamarli in un unico gruppo in cui le affinità, di qualunque natura siano, possano dissolversi a beneficio del bene comune.
L'Inter di oggi è davvero ripartita da zero, senza fenomeni ma con ottimi prospetti, la giusta dose di esperienza e tanta fame di rivincita. Mazzarri si troverà a gestire uno spogliatoio senza 'padroni di casa' che possano mettere a rischio il suo lavoro. Sarà lui, come è giusto che sia, il leader di un gruppo che, estremamente disomogeneo, penderà dalle sue labbra per crescere sia collettivamente che nei singoli. La conferma anche del solo Cambiasso avrebbe potuto creare un conflitto con il tecnico, perché due personalità talmente battagliere, in caso di disaccordo, avrebbero alterato gli equilibri interni. Per qualcuno decapitare di netto i residui di un'Inter storica è stata una mossa azzardata oltre che impopolare. Reazione comprensibile e calcolata dalla nuova dirigenza, che per ricostruire il castello ha scelto di radere al suolo le macerie di quello precedente. Qualunque architetto avrebbe preso una decisione del genere, perché per ripartire nel modo giusto bisogna farlo da zero, non da 2 o 3. Gli eroi ci mancheranno, ovvio, ma adesso abbiamo il diritto/dovere di affezionarci ad altri giocatori. E tra loro deve esserci ci possa sostituire, anche se sarà impossibile, il Cuchu.
Chiudo con il prossimo ingaggio di Osvaldo, per il quale mi dicono manca davvero solo qualche dettaglio. Tempo fa Ausilio disse che l'Inter cercava una seconda punta dal gol facile e in grado di integrarsi con Icardi. Osvaldo, mi si consenta, non risponde ad alcuno dei due requisiti. La rinuncia (definitiva?) a Jovetic ha evidentemente cambiato le carte in tavola e spinto la dirigenza a forzare sul Southampton per l'Italo-argentino. Il cui arrivo in prestito (a 7 milioni di riscatto) è, a mio modo di vedere, un colpo spettacolare che meriterebbe una bella sottolineatura. Eppure non è il giocatore che i nerazzurri cercavano. Thohir ha detto che sarebbe arrivato un attaccante, con Osvaldo il cerchio si chiude anche se tatticamente qualche perplessità mi resta. Reparto completato? Forse. O forse no. Perché a medesima domanda posta dal sottoscritto a una fonte nerazzurra ben informata, la risposta è stata: "Il mercato è lungo". Bene, aspettiamo.
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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