Sguardo concentrato, quello di chi deve affrontare domande, evitare tranelli e offrire un primo giudizio. Sguardo concentrato sempre pronto, però, a lasciare che si insinui un sorrisetto furbo, quello di chi ha la battuta pronta un po' per carattere ma anche un po' per necessità. Luciano Spalletti nella conferenza stampa che ha preceduto di un giorno la prima amichevole stagionale dell'Inter contro il Lugano (buon battesimo, non c'è che dire), ha dato la sua versione ragionata delle cose. La ragione, da usare contro ogni ragionevole dubbio. Ha definito "fortissima" una squadra che fino allo scorso anno era "forte", confermando la sensazione di rafforzamento portato dal mercato, almeno fino a oggi. E interrogato sugli obiettivi, il tecnico, saggio giocoliere alla ricerca dell'equilibrio tra il dovere dell'essere l'Inter e la consapevolezza di come sia, oggettivamente, l'Inter di oggi, sfodera la metafora ciclistica augurandosi di poter magari tirare il gruppo come fatto nelle prime 16 giornate dello scorso campionato. Ma un conto è tirare il gruppo, altro è partite in volata. Infatti il concetto viene chiarito con quel "rimanere attaccati al gruppo, rimanere sulla scia di squadre che saranno più brave" posto come una sorta di traguardo mobile.

L'Inter che si sta formando è squadra solida, tosta. Squadra di lotta, di potrebbe dire. In linea con la tradizione vincente delle squadra di Mancini (che poggiava sui centimetri e la forza di Materazzi, Vieira, Ibrahimovic) poi di Mourinho (costruita sullo spessore di Lucio, Samuel, Cambiasso, Zanetti, Stankovic). Tutti guerrieri insomma, quelli che hanno fatto la storia. E lo spirito sembra essere lo stesso di cui si dovranno impadronire Skriniar, De Vrij, Nainggolan se vorranno sovvertire le regole di un gioco che non sempre (anche se molto spesso) premia i più forti sulla carta, non sempre premia lo scatto del velocista migliore. Perché l'Inter, come scritto in un editoriale di sette giorni fa sui possibili "effetti collaterali" provocati da Cristiano Ronaldo (ancora lui, sì, pare non si riesca proprio a non scriverne e parlarne anche se si parte con le migliori intenzioni), non poteva proprio essersi avvicinata al livello della Juventus già da prima che a Torino decidessero di dar forma concreta al "colpo del secolo". L'Inter non era da scudetto prima e non lo è ora, nonostante qualche titolone sulle parole di Spalletti provi a fargli lanciare la sfida ai bianconeri e alla loro nuova stella. Se non altro perché sette anni di vittorie contro sette anni di difficoltà richiedono qualche prova in più. Molte prove in più. E Spalletti pare esserne, ringraziando il cielo, il primo consapevole. Consapevole anche di essere all'Inter e di conoscerne la storia: "Siamo forti e se in più aggiungiamo tutto l'affetto e l'amore che ci circonda...". Della serie: il possibile e l'impossibile lo stiamo facendo, per i miracoli ci stiamo ancora attrezzando. Ma la storia, e quindi i doveri cui un club di prestigio non può sottrarsi nemmeno nei suoi anni peggiori, la conosce e la vuole rispettare. E quindi si balla sul filo di un equilibrio difficile da trovare per chi deve sempre puntare al massimo, perché ciò che sei te lo impone, ma deve anche avere la precisa consapevolezza di se stesso e del proprio valore in un dato momento storico.

E per provare a fare la differenza serve, oltre allo spirito guerriero di una squadra fisica e solida, soprattutto una mentalità che, per la prima volta dopo molto tempo, lo scorso anno ha mostrato progressi. Non a caso Spalletti, a cui è stato chiesto se questa Inter che sta nascendo sia la migliore dai tempi di Mourinho, ha parlato proprio di questo: della mentalità di un gruppo che dopo il blackout tra dicembre e febbraio in molti davano per spacciato, destinato a fare la fine degli anni precedenti e spegnersi dopo un inizio fatto di fuochi d'artificio durati però troppo poco. La mentalità che ha permesso invece all'Inter di risollevarsi nel momento cruciale dello scorso campionato fino al noto ribaltone di Roma, anche quello frutto della testa giusta con cui la squadra ha reagito a uno svantaggio che poteva costare "le stelle", è l'eredità più preziosa che il gruppo si ritrova. E da cui deve ripartire. Senza andare a cercare "l'antiCristiano" perché il vero avversario dell'Inter, spesso, è stata l'Inter stessa (come i quasi tre mesi di crisi dell'anno passato hanno insegnato). Non vanno cercati antidoti a CR7 ma al proprio autolesionismo che è parte del dna ma solo nelle giuste, e non troppo pericolose, dosi: e il solo in grado di usare il misurino è proprio Spalletti, colui che fin da subito è entrato in sintonia con i tifosi toccandone entusiasmi e stuzzicandone emozioni e senso di appartenenza, che ha lavorato in silenzio per una stagione raggiungendo l'obiettivo e gettando le basi per una nuova corsa. Dove sa di non partire tra gli sprinter candidati a tagliare per primi il traguardo ma è almeno certo di volergli rimanere vicino, a ruota. Appoggiandosi ai muscoli e alla forza dei suoi guerrieri, all'amore che gli sta intorno, a un senso di appartenenza da inculcare nel cuore di tutti e a una mentalità che porti a saper reagire e a combattere. Perché "il pallone buono può essere anche l'ultimo dell'ultima partita" ha detto. Ma intanto bisogna iniziare a mettersi in scia.

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Sezione: Editoriale / Data: Dom 15 luglio 2018 alle 00:00
Autore: Giulia Bassi / Twitter: @giulay85
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