Parliamoci chiaro: se vado in un ristorante e mangio da schifo, qualunque scusa non mi cambierà il gusto del cibo appena ingoiato. Il gestore potrà venirmi a dire qualsiasi cosa, spiegarmi tutte le dinamiche che hanno portato a quei piatti insufficienti, ma il fatto resta: il cibo è stato di qualità scadente. Ecco, quale che sia l'alibi di Suning – dal Fair Play Finanziario al blocco del Governo cinese –, l'Inter continua ad avere una rosa qualitativamente e quantitativamente insufficiente per assicurarsi (almeno in teoria) l'obiettivo prefissato a inizio stagione, ossia l'ingresso in Champions League. C'è poco da girarci attorno.

Ad esempio: possibile che la lacuna del difensore centrale non si sia potuta colmare già ad agosto? Bisognava buttare via due punti a Firenze per capire il rischio che si stava correndo? Ed è andata di lusso che l'emergenza vera si sia avuta solo al Franchi... Un terzino di troppo via e dentro un centrale: era così complicato farlo già in estate? Stesso discorso per il trequartista, ruolo ancora non coperto. Resta una voragine in quella zona del campo, checché se ne dica. A Spalletti manca un giocatore lì, un suo uomo di corsa, quantità e inserimento. Manca per riempire l'area di rigore, rendere gli attacchi efficaci, portare il primo pressing, completare il disegno tattico. L'agonia lì davanti è esplosa in tutto il suo fragore in questi ultimi due mesi: crollato il rendimento di Perisic, intristitosi Candreva, isolatosi Icardi, il tecnico nerazzurro ha finito le cartucce. E spara a salve anche contro Pordenone, Crotone o Spal.

Qui tutti fanno gli esperti di economia, di FFP Uefa, di break-even, di tetto stipendi. Tutti super informati. Ma possibile che gli unici due pirla fossero Sabatini e Ausilio, che hanno lavorato giorno e notte per portare a Milano due elementi che avrebbero completato e dato soluzioni credibili come Ramires e Pastore? Evidentemente, così impossibili non erano. Certo, bisognava trovare i giusti incastri economici, ma non era inverosimile vedere i due sudamericani vestire il nerazzurro già a gennaio come sperava Spalletti. Il quale non avrà magari fatto espressamente il nome di Pastore (quello di Ramires, invece, sì), ma sicuramente non ci avrebbe sputato sopra. Le condizioni economiche per il doppio colpo potevano essere trovate: dentro uno, fuori un altro. Non a caso, si stava provvedendo alla cessione di Brozovic e a quella di Pinamonti. Quello che ha detto Spalletti in conferenza è sacrosanto: l'Inter – come tutti – ha un limite da non poter sforare per il monte ingaggi. Ed è qui che entra in gioco il rapporto uno-a-uno tra cessione e acquisto.

Il calcio è anche un'azienda. Ma non è soltanto un'azienda. È materia fluida, tutt'altro che scientifica. I risultati del campo vengono costantemente condizionati dall'umore di piazza. Rinforzare la squadra, oltre che una risposta a esigenze prettamente tecnico-tattiche, avrebbe significato un'iniezione di entusiasmo notevole. Energia positiva che avrebbe risollevato immediatamente tutti quanti dopo il momento grigio. Invece, contro il Crotone, l'Inter è scesa in campo in un'atmosfera non corrispondente alla realtà di classifica: sembrava di dover veder giocare una squadra decima in classifica con 10 sconfitte sul groppone, e non una squadra quarta, con appena due ko e in linea con i programmi iniziali. In fondo, questo stato d'animo di squadra compromesso dalle contingenze esterne lo ha confermato anche lo stesso Spalletti, senza svelare chissà quale arcano.

E torniamo all'avventore di quel ristorante nel quale è stato servito cibo scadente. La responsabilità resta del gestore, alibi o non alibi. Il cliente vede il prodotto finale, del resto gli interessa poco o nulla. Quella è responsabilità di chi ha l'attività e, a cascata, di chi ci lavora. Se il cliente mangia da schifo, lì non ci torna più. Suning sta scommettendo sul piazzamento Champions, senza offrire le garanzie necessarie per arrivarci. Una scelta, per carità. Ma che andrebbe quantomeno chiarificata. Perché a spiegare il freno del mercato estivo e il poter agire a gennaio con il portafoglio vuoto, non possono e non devono essere né l'allenatore in conferenza stampa né il direttore sportivo frettolosamente sul marciapiede. Venga fatta chiarezza su questa inversione di marcia. Si illustri seriamente la direzione verso la quale sta andando l'Inter. E lo si faccia non per abbeverare il becero tifo o per giustificare mosse del tutto legittime. Bisogna (bisognava) farlo per lavare via le scorie di incertezza che stanno compromettendo la stagione.

Questo atteggiamento miope, che non tiene in considerazione il fattore umano del calcio, non sta pagando.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 06 febbraio 2018 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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