La "mano di Spalletti" è un'espressione utilizzata dagli addetti ai lavori per sottolineare l'impronta chiara già lasciata sull'Inter dal tecnico di Certaldo. Al quale, in questa sede, non si vogliono sicuramente togliere i meriti, semmai l'obiettivo è un altro: delimitarne onori e oneri per evitare di imbattersi nel solito guazzabuglio di responsabilità dopo un determinato risultato come quello maturato al Dall'Ara martedì scorso. 

Sì, perché schiacciando unicamente il punto di vista sull'ex romanista si finisce per incappare nell'errore – sempre in voga dalle parti di Appiano Gentile – di pensare che i destini della squadra passino solamente dalla guida tecnica. Come dopo la vittoria striminzita con il Crotone, quando è stato asserito che in altri tempi – e con qualcun altro in panchina – allo Scida sarebbe finita con una disfatta. Invece con Spalletti è tutto diverso, anche quando assomiglia tutto maledettamente al passato; basta un semplice esercizio di fantasia per dire che c'era la sua mano e non quella di Handanovic a togliere dalla porta il colpo di testa di Rohden. Che la sostituzione forzata di Nagatomo per Dalbert che poi ha determinato un cambiamento nell'atteggiamento è stata una mossa tattica più che casualità. E, per finire in bellezza, la mischia omerica nell'area dei pitagorici da cui è uscito vincitore Skriniar era uno schema da calcio da fermo provato in allenamento.

I giudizi del sabato, proprio perché fondati sul risultatismo tutto italiano, sono stati rivisti frettolosamente martedì sera, appena dopo il triplice fischio di Di Bello che ha sancito l'1-1 col Bologna. Anche se, c'è da giurarci, in tanti - dopo il pari su rigore di Icardi – hanno tenuto aperto il file Word sul loro pc per non perdere la grande occasione di scrivere di un'Inter da rimonta, cinica e corsara che vince pur non giocando in maniera adeguata partite scorbutiche come quella imposta da Donadoni. E persino Spalletti, che a un certo punto aveva sperato di portare a casa il bottino pieno, ha fatto capire che non sempre i successi piovono dal cielo come successo in Calabria, di fatto ammettendo a chiare lettere il passo indietro fatto dai suoi: "Dobbiamo fare meglio, la vittoria bisogna sempre meritarsela. Soprattutto quando trovi delle squadre che ti obbligano a trovare soluzione alternative".

Ecco il centro del discorso, l'Inter deve imparare a uscire dal solito spartito classico, quello che l'ha tenuta prigioniera in tante partite della passata stagione. In 16-17 casi su 20 in questa Serie A, i nerazzurri devono scrivere di loro pugno la sceneggiatura della gara, non leggerla come successo nelle ultime due trasferte di campionato: l'epilogo, se si aspetta che la partita venga dalla tua parte, sarà sempre incerto, spesso e volentieri amaro. E qui il tema inerisce soprattutto certi giocatori, attori che sembrano non volere mai uscire dal loro personaggio: c'è Icardi che, a parte nel match d'esordio con la Fiorentina, recita spesso e volentieri a capanno; c'è Candreva che esegue sempre e solo quella scena meccanica del 'cross' anche in situazioni in cui è concettualmente richiesto tutt'altro. E poi c'è Joao Mario, che da brava spalla tecnica non può assurgere al ruolo di protagonista che trasforma una pellicola modesta in una che sbanca il botteghino. E così per tanti altri. 

E da casa e allo stadio, il numeroso pubblico della Beneamata ora ha di nuovo paura di assistere alla solita proiezione degli ultimi sette anni, anche con il nuovo cast che tra Borja Valero, Vecino e Skriniar ha certamente portato trame diverse. Quel che è certo è che per 'inquadrare' la Champions League non basta una carrellata con le quattro scene di gioia come quelle viste nei primi 360 minuti della stagione, occorre che gli interpreti seguano la storia dettata quanto più fedelmente possibile dal filmaker. Sarà allora che si potrà parlare della 'mano di Spalletti', del suo eventuale 'movimento di macchina' sul futuro. Per ora è impossibile giudicare un film solo dal titolo, quello è un vizio di quei critici che pensano di sputare sentenze fondandosi semplicemente sulle loro esperienze passate. La giuria si è espressa troppo in anticipo, parlando di Inter nel gruppone per gli Oscar, ma la strada per attraversare il red carpet è ancora molto lunga e piena di curve. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 21 settembre 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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