A poco più di 24 ore dal fischio finale, cosa rimane di questo derby? Perché è impossibile da negare: ogni pensiero lucido da esprimere a caldo era francamente difficile da proporre dopo il finale elettrizzante. Tutto condensato in pochi frame: il 2-2 acciuffato proprio all’ultimo respiro, il tocco da due passi di Ivan Perisic che strozza l’urlo in gola del popolo rossonero ormai pronto a esplodere, la corsa a perdifiato e a torso nudo, con conseguente mirabile esposizione di pettorali da parte del croato, la gioia di Stefano Pioli che corre in campo importandosene poco di tutto e di tutti. E poi, l’esultanza finale. E fa perlomeno sorridere il fatto che sull’altro fronte, dove ormai avevano bocca e stomaco pronti per gustare un successo che avrebbe reso alquanto impervio il cammino dell’Inter targata Parma, abbiano avuto qualcosa da ridire sul modo di celebrare questo pari arrivato in volata, anche perché viene difficile da pensare che a parti invertite gli avversari si sarebbero imposti la regola del silenzio come i monaci del monte Athos

Ma passata la sbornia, si chiedeva, cosa resta di questo derby al di là del fatto oggettivo, ovvero che alla fine grazie a questo pareggio il campionato pare già segnato definitivamente visto che i campioni d’Italia in carica hanno già sette punti di vantaggio sulle seconde, che a questo punto del torneo equivale pressappoco a essere già sulla cima del Pordoi mentre il resto del gruppo affronta le prime pendenze? Qual è il lascito di questa stracittadina per l’avventura da tecnico della sua Inter per Stefano Pioli? Come avvenne a suo tempo per Roberto Mancini quando decise di riprendere il timone della nave nerazzurra, il tecnico di Parma debutta con un pareggio nel derby. Anche se rispetto a quanto avvenuto due anni fa, almeno sul piano del gioco, forse questa volta è un’altra storia: se infatti quella sera fu una sfida dalla pochezza tattica inenarrabile, il derby di domenica è stato sicuramente godibile, specie per i nerazzurri che al cospetto dei cugini rossoneri hanno mostrato di avere qualche idea di gioco in più, rischiando però di finire sconfitti dalla mentalità ‘old italian style’ del gioco di rimessa e dal cinismo in zona gol di un ragazzo di Cadice dal nome lungo da far ammattire un addetto all’anagrafe ridotto per comodità in Suso e dai trascorsi non felici al Liverpool.

Non è stata la migliore Inter possibile e sognabile, e del resto nessuno se lo aspettava. Nemmeno mister Pioli, che ha sposato il concetto nel dopo partita. Ma è stata un’Inter che qualcosa di positivo l’ha fatta intravedere: il tecnico comincia a riformulare un nuovo tipo di gioco, prova ad approfittare delle debolezze dell’avversario invitando Joao Mario a premere, Ivan Perisic a stantuffare largo a sinistra e Antonio Candreva a cercare di accentrarsi. La mossa più interessante, però, è stata senza ombra di dubbio l’arretramento di Gary Medel, talmente perfetta da suscitare invidia agli dei del pallone che infatti scatenano la loro vendetta sul Pitbull che deve lasciare il campo dopo nemmeno 40 minuti in cui però lì dietro non era passato nemmeno uno spillo. E poi, nella nuova serata di luna storta di Mauro Icardi, al quale il Milan pare aver fatto un incantesimo, arrivano comunque due gol dai suoi scudieri Antonio Candreva (niente male per essere in rotta col tecnico) e Perisic. E prima, tante altre azioni interessanti erano state costruite con un livello di gioco più che discreto.

Non è stata la migliore Inter possibile e sognabile, e del resto le cose su cui bisogna lavorare ci sono, e anche parecchie. C’è ancora una fase difensiva che langue in parecchi dei suoi interpreti, a partire da quella coppia di centrali che nemmeno troppo tempo fa sembrava la più solida di tutto il lotto italiano e che da troppo tempo pare preda di troppe amnesie e paure.  Pioli sa bene di dover ancora lavorare molto, sulle tattiche ma anche sulla mentalità di alcuni. Il tempo stringe, lo ha anche dichiarato lui stesso; di certo ne resta poco per far capire, per esempio a Geoffrey Kondogbia che ormai fare il compitino non basta più e non ci si può più permettere  di aspettare che acquisti fiducia per esprimersi come sa in campo con le stesse tempistiche con le quali ha dovuto prendere sicurezza con l’italiano per affrontare le interviste post-partita.

Il bicchiere è mezzo pieno o mezzo vuoto? Questo forse è impossibile da dire adesso, perché esordire con una partita come il derby, volenti o nolenti, varia un po’ quelli che possono essere i parametri oggettivi di valutazione; già lunedì sera, ancor prima della gara 'do-or-die' in Israele di Europa League, la sfida contro la Fiorentina, guarda caso la squadra a cui Pioli fu accostato anche con insistenza prima che Paulo Sousa riordinasse la situazione e ritrovasse i colpi di Federico Bernardeschi, potranno arrivare indicazioni più importanti. In quanto al derby, beh, magari il più inguaribile degli ottimisti potrebbe anche favoleggiare che il gol arrivato in pieno recupero possa essere il segnale della tanto attesa scossa sulla falsariga di quanto riuscì a Juan Cuadrado nel derby della scorsa stagione contro il Torino. Ma quella era un’altra storia, sicuramente era un’altra squadra; più logicamente, il pari di domenica altro non è che il primo passo di un lungo cammino, una lunga marcia verso un ritorno alla normalità dopo settimane tanto burrascose.

Lunga marcia, si sa, è una locuzione legata a doppio nodo con la storia della Cina. Cina che è stata un’altra protagonista della stracittadina di domenica, visto che anche il Milan sta passando nelle mani del Dragone. Cinesi che dopo aver finito di farsi spiegare il significato dei vari striscioni esposti dalle due curve prima del fischio d’inizio, da ‘I Pussee Bej’ della Nord nerazzurra al ‘Ciapa su bauscia’ di accompagnamento alla gigantesca coreografia ricordo dei trofei vinti dal Milan di Silvio Berlusconi da parte della Sud, dovranno ora dare massimo sostegno a quell’allenatore scelto scrupolosamente dopo attenta selezione. Serve che Pioli, o per meglio dire Pyo Lee, giusto per cinesizzare (coreanizzare?) il nome, abbia la necessaria e la costante fiducia da parte di tutti perché possa essere lui il ‘grande timoniere’ che possa togliere l’Inter dall’assedio del momento e guidarla verso un nuovo orizzonte di gloria. Sempre che da un altro fronte non sia pronto un altro condottiero, magari di nome Cho Lo, che attende il momento per prendere il bastone del comando. Ma anche questa, se vogliamo, può essere un’altra storia…

Sezione: Editoriale / Data: Mar 22 novembre 2016 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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