"L'uomo senza qualità" è un vastissimo romanzo, per ora incompiuto, nel quale si sono trovati protagonisti, loro malgrado, gli ultimi allenatori della storia dell'Inter indicativamente da Walter Mazzarri in poi. L'ultimo discendente dell'opera monumentale del tragico ridimensionamento nerazzurro è Luciano Spalletti, diventato in una sera di marzo l'erede naturale dei suoi predecessori quando – dopo il pari a reti inviolate contro il Napoli – ha messo al centro dei suoi discorsi la 'qualità', la parolina scomoda che sintetizza tutto l'imbarazzo del presente sempre uguale a se stesso da ormai troppi anni al cospetto di una storia gloriosa che viene celebrata solo durante le varie ricorrenze.

Il tecnico di Certaldo, che venerdì scorso ha toccato con mano la sostanza di cui sono fatte le glorie del passato nella festa per i 110 anni del club, forse ha subito uno ko da 'choc tecnico' non appena ha rimesso piede nel suo spogliatoio e ha capito che non sarebbe riuscito a trasferire la trascinante leadership dei campioni introdotti nella Hall of Fame ai suoi giocatori. La soggezione e l'imbarazzo dello Spalletti giocatore probabilmente è la stessa che i calciatori che popolano attualmente Appiano Gentile hanno provato dinnanzi al peso insopportabile degli eroi che hanno scritto pagine indelebili dell'immenso libro del club meneghino.

Un loop mentale che diventa punto di non ritorno non appena gli scarsi risultati a cadenza ciclica stagionale mettono a nudo la reale identità di un gruppo dal quale la sua stessa guida comprende di non poter cavar qualcosa di più di quello già esibito nei mesi precedenti. "Abbiamo fatto una buona partita per buoni tratti, ma diventa difficile poterci mettere il lavoro della settimana e fare qualcosa in più per la prossima",  ha dichiarato a Sky Sport Lucio, condottiero apparso più che mai disincantato. Che poi ha affondato il colpo estraendo dal cilindro l'argomento delicato relativo alla differenza tra la sua squadra e quella di Sarri: "Manca la qualità, noi tanta qualità non ce l'abbiamo. Il Napoli ce l'ha". 

Una denuncia pubblica di una situazione latente arrivata fuori tempo massimo da parte del 59enne di Certaldo, nella cui mente domina il 'senso della possibilità' che sovrasta il vero significato della realtà: la filosofia spallettiana, che ha affondato le sue radici nel terreno multiforme interista, si è sempre fondata sul non dar maggior importanza a ciò che è rispetto a ciò che potrebbe essere. Spalletti, in poche parole, è diventato l'epitome del tecnico che, dopo essersi impegnato per per nove mesi nella ricerca dell'identità della sua creatura per debellare tutti i suoi dubbi, ha capito di non aver alcuna possibilità di riconoscere in sé qualità reali. "La qualità bisogna farla vedere, stasera non l'abbiamo avuta. Bisogna rendersi conto che serve qualcosa di più, questa qualità non basta. Poi è chiaro che diventa colpa dell'allenatore, io sono d'accordo", ha ribadito in conferenza Spalletti.

Una conclusione che assomiglia molto da vicino a quella di Robert Musil: "E poiché possedere delle qualità presuppone una certa soddisfazione di constatarle reali (i concetti di gioco di Spalletti si sono visti solo a sprazzi nell'Inter), è lecito prevedere come a uno cui manchi il senso della realtà anche nei confronti di se stesso possa un bel giorno capitare di scoprire in sé l'uomo senza qualità". 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 15 marzo 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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