Ci ha messo un po’ di tempo il buon Frank, ma alla fine è arrivato ad una sacrosanta decisione che molti tifosi auspicavano già da qualche tempo; sì, è bellissima l’idea di calcio globale, possesso palla, in nove nella metà campo avversaria, il controllo della partita. Poi però, ad ogni ripartenza di chiunque, e per chiunque intendo un chiunque qualunque, vermi alla pancia, salivazione azzerata, tachicardia parossistica e terrore assoluto. Perché tutte le volte che gli altri arrivavano da ogni dove a velocità supersonica non trovando il benché minimo ostacolo beh, che ve lo dico a fare, si rischiava un attacco pressorio oltre al gol.

Mettiamo giù quattro conti, proprio quelli della serva; undici partite Europa League compresa, quindici gol subiti, dodici fatti. Improponibile ad ogni latitudine come tabella di marcia. In pratica, se si eccettua la passeggiata di salute in quel di Empoli e le parate di Samir con il Southampton - giovedì sera forse per novanta minuti di fila non ha pensato a quanto sarebbe stato bello giocare in Champions - l’Inter ha beccato sempre e comunque. Da tutti, nessuno escluso. E non stiamo parlando degli attacchi atomici di Barcellona, Real Madrid o Bayern Monaco. Eh già, ma è lo scotto che si deve pagare per una nuova filosofia di gioco, obiettano gli esteti del pallone. Beh, ma per quello che abbiamo visto fino ad oggi non era necessario andare ad Amsterdam per prendere l’allenatore; un paio liberi qui, a due passi, si trovavano.

Comunque, giusto per tornare a quanto si diceva all’inizio, pare che De Boer sia arrivato ad una decisione; ogni tanto bisogna adattarsi al gioco altrui, ha detto in conferenza ieri. Come se qualche uccellino gli avesse suggerito, lontano da orecchie indiscrete, che un piccolo cambiamento di organizzazione sul campo sarebbe stato necessario per cercare di non complicare una situazione di per se già fin troppo complicata; il romanzo della biografia di un ventitreenne con finale deamicisiano l’ho trovato triste, un gran casino del tutto inutile e, soprattutto, evitabile. Con un minimo di sagacia e di accortezza che si può trovare in una qualunque società di calcio, non necessariamente appartenente alla prima fascia di importanza. Del resto, raccontano le leggende metropolitane che si accavallano nei meandri del Meazza e nelle stanze segrete della Pinetina sembra, si dice, si mormora, financo qualcuno dal pedigree molto più importante di quello portato in dote dal buon Frank sarebbe stato consigliato qualche anno fa; lascia stare di giocare questo 4-3-3 poco sensato, passa a quello che i ragazzi sanno fare meglio. Vai sul semplice e tutto si metterà a posto.

José, che tutto è fuorché un pirla - ce lo ha ricordato lui per primo - raccolse il suggerimento mettendo le basi per fare quello che tutti quanti ricordiamo. E che ancora oggi brucia a più d’uno sparso per l’Europa alla ricerca della gloria perduta. Pertanto occhio speciale alla difesa, il vero punto debole della squadra. Probabilmente, lo dico senza stare a disturbare almanacchi del calcio o statistiche raccolte a destra e a manca, nemmeno nei campionati che non siano la nostra serie A se prendi una media di un gol e rotti a partita non vai da nessuna parte; ma qui da noi, il regno indiscutibile dell’acchiappane sempre uno meno degli altri, e se poi agli altri non ne fai fare del tutto è anche meglio, che lo spettacolo lasciamolo al circo equestre coi trapezisti ed il carosello dei cavalli, chi vince il campionato o sta nella parte altissima della classifica, se non ha la miglior difesa in assoluto al massimo è secondo o terzo alla voce specifica. Il “sì, ma andiamo tutti avanti così ne segniamo tanti” in Italia non vale; gli allenatori nostrani sono dei veri e propri maestri nell’arte del difendere. E se ne prendi uno poi diventa complicato risalire la china senza rischiare di prendere il secondo. Può andarti bene una volta, due, forse tre; ma alla lunga sei un perdente. Punto. L’Inter vista in campo giovedì sera non è stata esaltante, anzi.

Diciamocela tutta, senza la rete inventata da un Candreva fino a quel momento illustre spettatore della gara e le parate importanti di Handanovic in un convulso finale, oltretutto in inferiorità numerica per l’alzata d’ingegno di Brozovic, sempre meno epic e sempre più lontano dal nerazzurro avanti di questo passo, probabilmente oggi saremmo qui a discutere sull’ennesimo spettacolo poco decente messo in opera da un’orchestra stonata e male assemblata. Ma il calcio, per fortuna, a volte dà quello che ha tolto in precedenza; e, contro dei discreti inglesi che hanno festeggiato l’ingresso in Europa League come se avessero vinto la Premier, la dea Eupalla (creata dal grandissimo Gianni Brera che la definì “divinità benevola che assiste pazientemente alle goffe scarponerie dei bipedi) ha guardato dall’Olimpo calcistico con occhio di riguardo restituendoci il maltolto subito contro Palermo e Bologna. Senza strafare, senza esaltare le folle. Ma dando alla squadra ed alla Società perlomeno qualche giorno di calma solo apparentemente serafica per preparare al meglio la partita, delicatissima, contro l’Atalanta, avversaria da sempre ostica e fastidiosa sia in casa che in trasferta.

Sì, insomma, il successo di Europa League non deve essere salutato come un siamo guariti; perché guariti non lo siamo proprio. Ma, questo lo dico in maniera convinta, perlomeno convalescenti e prossimi a rimetterci in piedi. La classifica latita, i punti raggranellati sono pochini; oltretutto se pensiamo a chi abbiamo affrontato finora. Juventus e Roma a parte le altre erano partite da vincere, se si vuole ambire a qualcosa che sia più della solita e noiosa lotta per un posticino nell’Europa di seconda fascia. Colpa di tizio? Di caio? Di sempronio? Interessa poco e non è il mio sport preferito la caccia al responsabile. Diciamo che, tutt’al più, possiamo parlare di concorso di colpa; tra un tecnico non abituato alle pressioni nostrane ed alla filosofia del primo non prenderle ed un gruppo di calciatori che forse, visti i risultati ottenuti nelle gestioni precedenti ed in quella attuale, non è propriamente di altissimo livello. Perché questa è la considerazione che mi viene da fare.

Differenze rispetto al passato? Non lo so, non mi sembra. Gran possesso palla, moooolto sterile. Se non segna Icardi bisogna incrociare le dita e sperare nella giocata del singolo che raramente arriva. Centrocampo che filtra poco, riparte poco, difende poco. E difesa in enormi ambasce. Peccato, perché contro la Juventus abbiamo ammirato una squadra di ottima levatura. E quindi non vorrei trasformarmi in quelle formazioni che aspettano la partita contro i campioni in carica o con l’acerrima rivale di sempre per vincerla e dare un senso all’annata. È il pubblico nerazzurro a non meritarlo. Il buon Frank ha carattere, esperienza e capacità; lasciarlo lavorare sarebbe la soluzione migliore. Cercando di spiegargli, come dico da tempo, che qui non siamo in Olanda. Né in Spagna. In fondo non ci vuole molto per cambiare; più attenzione dietro, più garra in mezzo al campo. Il tempo per lo spettacolo ci sarà dopo. Per adesso fieno in cascina e magliette sudate. Buona domenica a Voi! Amatela, sempre.

Sezione: Editoriale / Data: Dom 23 ottobre 2016 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
vedi letture
Print