Le ultime speranze di acciuffare la zona Champions sono sfumate in una partita che l'Inter aveva l'obbligo di vincere. Non trattasi solo di obbligo legato al fattore “speranza”. Il termine intende sottolineare quanto sia necessario, in talune circostanze, dimostrare di voler raggiungere un obiettivo con tutte le proprie forze. Nel vedere, ad esempio, la cattiveria agonistica con cui Quagliarella ha morso le caviglie dei difensori avversari per tutta la partita ci è venuto in mente l'esatto fattore che non era presente tra alcuni interpreti in nerazzurro.

Il fatto che tra i più additati quali colpevoli per il risultato negativo ci sia Marcelo Brozovic è forse sbagliato nel ragionamento più ampio che si dovrebbe fare e che non dovrebbe mai ridursi alle valutazioni di un singolo, anche se gli episodi lo condannano più di altri: errore di marcatura sul pari doriano, lentezza nel salire nella medesima circostanza, fallo di mano sul rigore finale. Usciamo dal discorso sul croato per farne uno più generale, pur partendo dalla sua prestazione: senza mordente non si va da nessuna parte. La fame è tutto, anche oltre la tecnica. Meritavano di vederne di più gli oltre 47mila spettatori che hanno seguito la squadra a San Siro nonostante un sesto posto che è lontano dagli obiettivi stagionali. Meritava un'Inter migliore chi ha tirato la carretta e ha visto allontanarsi ulteriormente il terzo posto per lacune che vanno oltre le capacità calcistiche.

Ovvio che la rincorsa abbia tolto energie, ma trattasi comunque di una stagione in cui la squadra si è auto-eliminata da ogni impegno extra-campionato in maniera molto rapida. Non c'è più Coppa Italia o Europa League che tenga, non c'è più l'alibi dei tanti impegni. Qualcuno ha dovuto affrontare viaggi intercontinentali che potrebbero aver minato la condizione, ma sono mancati anche quelli che nelle due settimane appena trascorse sono rimasti ad Appiano o che sono entrati (Joao Mario) a pochi minuti dalla fine con una freschezza da poter sfruttare.

Se anche fosse, se davvero ci fossero degli alibi da poter tirare in ballo, la grandezza della “big” che si vuole diventare deve basarsi sulla capacità di toglierseli da soli. Di eliminarli entrando in campo con una determinazione che, spiace dirlo, a tratti non si è vista sul terreno di gioco.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 04 aprile 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Todisco
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