L’Inter è una questione grande. Vinca o no, è sempre da prima pagina. È amata dai suoi tifosi a prescindere, è però detestata dai suoi stessi innamorati quando perde in modo ingiustificabile come sabato a Genova E chi non tifa Inter ha comunque sempre l’Inter in bocca. Se non ci fosse, dunque, bisognerebbe inventarla. Unici. Detto questo, da sette anni a questa parte la Beneamata è un amore che non fa nulla per essere alimentato. Illude e disfa senza un perché o con molti perché. Dipende da che parte la si voglia vedere. La stagione, iniziata bene, troppo bene in relazione all'effettiva qualità della squadra, ora sembra destinata all'ennesimo fallimento. Con la prevedibile vittoria della Lazio sul Verona lunedì scorso, la squadra è scivolata al quinto posto. Per la prima volta dall'inizio del torneo, nerazzurri fuori dalla zona Champions League, obiettivo da non fallire assolutamente secondo i programmi estivi. Nove punti nelle ultime dieci gare, una media da retrocessione. Forse giusto per provare l'effetto che fa, visto che fortunatamente, la nostra storia è ignorante in materia. Il tempo per rimediare c'è, ma non è possibile che ogni volta succeda la stessa cosa, che l'allenatore di turno diventi un incapace, che i giocatori si trasformino in fuscelli senza spina dorsale e non sappiano reagire anche alla minima difficoltà. Sparare sentenze è facile e nell'era dei social aiuta a conquistare i famosi like che fanno tanto figo. No Luis, purtroppo. È facile ripetere fino alla noia che la squadra manchi di personalità, che devono andare tutti a lavorare, che sanno solo sorridere davanti al ricco bonifico mensile, che gli uomini mercato non capiscono niente, che questa proprietà ha stufato, che però, se siamo in questa situazione è colpa di Moratti che ringrazieremo sempre, ma che ci stava portando al fallimento Si ripetono sempre le stesse cose, è tutto estremamente facile, perché magari nel calderone dei luoghi comuni, c'è la verità, il colpevole, l'assassino. Forse l'Inter è davvero un giallo, anche se a tinte nero e azzurre.
Dopo la vittoria strappata con le unghie e con i denti contro un Bologna rimasto in nove, ma capace lo stesso nel finale di mettere paura, sabato è stato il Genoa a cucinarci. Nemmeno a fuoco lento. Per la banda Ballardini non vi è stato bisogno di una grande preparazione del piatto. Un autogol specchio del momento nerazzurro e il raddoppio, non quotato, del signor Goran Pandev, uno degli eroi del Triplete, sinistro che ha cantato in quel di Marassi quasi come il grande Fabrizio De Andrè. Non ha dovuto fare molto altro il Genoa per battere meritatamente un'Inter che ancora una volta, al netto delle importanti assenze, pareva dover scalare l'Everest e non correre in verticale su un semplice campo di calcio. È oggettivo rilevare che da più di due mesi a questa parte, la squadra non vince più ed è in balia di qualsiasi avversario perché è diventata mediocre tecnicamente. E siccome non ci sono, soprattutto a centrocampo, uomini di “gamba” che possano offrire un calcio diverso, assistiamo a prestazioni tristi e sconfortanti. Si sbagliano i passaggi più semplici in fase di uscita, si sbagliano facili stop del pallone, si arriva a ridosso dell'area di rigore avversaria sempre in maniera farraginosa, senza qualità, senza inventiva, senza lo spunto della grande squadra. Non è vero che anche quando si vinceva era così. O lo era solo in parte, perché i giocatori riuscivano a sopperire a determinate carenze con la concentrazione feroce, con una buona organizzazione difensiva e con l'entusiasmo derivante dai risultati. Ma che la coperta fosse corta era più che un timore e il timore è divenuto certezza quando il naturale scadimento di forma dei migliori e, ultimamente, l'infortunio dell'unico che sa segnare, alias Mauro Icardi, ha messo a nudo l'assoluta assenza di alternative valide.
È tutto vero, per vincere serve spirito di attaccamento, serietà, una società capace e presente. Ma penso ancora che gli ingredienti indispensabili, siano i grandi giocatori guidati da un grande allenatore. Ma anche il grande allenatore, continuo a ritenere Luciano Spalletti tale per il lavoro sul campo, possa fare poco senza gente che sappia dare del tu al pallone. Sì, facciamoci del male e parliamo del Milan, portatosi a -7 dopo aver avuto anche 18 punti di svantaggio. Si sta esaltando, giustamente, il lavoro di Rino Gattuso che ha portato a Milanello spirito, voglia di fare e qualche accorgimento tattico. Sarà sicuramente così, ma ora il Milan vince le partite perchè, dopo aver ritrovato entusiasmo, può contare su una buona qualità complessiva. Suso, Calhanoglu, Bonaventura, Biglia e mi fermo qui perchè se no è troppo. Non saranno i campioni del passato, ma si tratta comunque di gente che giocare a calcio, che sa far viaggiare il pallone, che sa saltare l'uomo e creare la comoda palla gol per il Cutrone di turno. Loro ora giocano leggeri, l'Inter non gioca, ma litiga con il pallone. Questo discorso non riguarda tutti, i vari Cancelo, Karamoh e Rafinha hanno dimostrato di poter invertire la tendenza, ma a parte l'esterno portoghese, ormai divenuto titolare, gli altri due sono ancora ai margini del progetto spallettiano che ha pagato fino a Natale, ma che ha tradito dopo.
Si chiede a Spalletti di inventarsi qualcosa, di cambiare, come riuscì a Roma per ben due volte. Perrotta e Nainggolan incursori le perle che hanno permesso alle due versioni della sua Roma di essere sempre competitiva, battuta solo da un'Inter d'acciaio prima e dalla Juventus che conosciamo, poi. Adesso lo Spalletti nerazzurro tende a riproporre lo stesso menù. Si è stufato di cucinare o forse non trova gli ingredienti necessari per variare i piatti? Non si vede luce, anche perché, conoscendo il carattere del tecnico di Certaldo, altri passi falsi potrebbero portare all'inasprimento di una polemica iniziata con parte della dirigenza che, a suo dire, illuderebbe la gente con nomi futuri indicati ai cronisti che poi hanno la sola colpa di svolgere il loro lavoro, scrivendo quanto viene detto. Intanto continueremo a dire o a leggere che Suning non spende, che la squadra è senza personalità, che i “direttori” sono incapaci. Oppure il classico: “Via tutti e disertiamo lo stadio”.Va bene tutto, quando non arrivano i risultati. E all'Inter non arrivano da troppi anni. Blocco del governo cinese, i paletti del financial fair play? Ok, ne prendiamo atto. Ma non si sfugge e la soluzione del giallo è più semplice di quanto sembri: all'Inter, per tornare a vincere, servono grandi giocatori.
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