Ogni pazienza ha un limite soleva ripetere il principe Antonio de Curtis, conosciuto più familiarmente come Totò. Si, perché qui la pazienza è davvero agli sgoccioli; intendiamoci, comunque finisca la stagione ed indipendentemente dal risultato che i nostri eroi porteranno a casa stasera. L’annata sta per chiudersi e si chiude nel peggiore dei modi, senza stare tanto a menare il can per l’aia; fino a poco più di un mese fa si vagheggiava di una incredibile qualificazione in Champions League, si contavano i punti di distacco da Roma e Napoli, ricordo ai deboli di memoria che ad un certo punto qualche buontempone aveva addirittura azzardato una improvvida ed improbabile tabella scudetto sull’onda di un filotto vincente che ci aveva consentito di risalire parecchie posizioni in classifica. Poi, sul più bello, il solito crollo verticale; e attenzione, stavolta non c’è Mancini, quindi non si possono scaricare le colpe su di lui, il cattivone con la sciarpetta che stava cercando, avversato da ogni tipo di difficoltà e senza un euro da spendere seriamente sul mercato se non per calciatori di seconda fascia o peggio, di costruire qualcosa di decente. Bando ai ricordi e alle simpatie o antipatie personali, il pistolotto è diretto a coloro che pensavano o ancora pensano, il che è peggio direi, di avere una squadra di prima fascia messa in mano a mediocri condottieri. Già, perché purtroppo per l’ennesima stagione i nostri eroi ci hanno abbandonato sul più bello come dicevamo; cinque partite non proprio trascendentali, prestazioni al limite dell’imbarazzo. Senza convinzione, senza costrutto, senza cuore. Inutile cercare di indorare la pillola, questa è la realtà nuda e cruda; e credo ci sia ben poco da obiettare. La prestazione di Crotone, il secondo tempo con la Samp, una sessantina di minuti buoni con la Viola sono lì, davanti agli occhi; e facciamo pure che Pioli abbia sbagliato le scelte iniziali, i cambi, la tattica; si , facciamo pure che sia andata così, giusto per scaricare ancora colpe su quello che sta in panchina – ho perso il conto di quanti se ne sono succeduti nell’ultimo settennio – senza mai scordarci che stiamo parlando di professionisti del pallone, soprattutto ben remunerati, che guadagnano in funzione di correre e sudare. Ecco, di queste due cose non ho avuto particolare sentore nelle partite succitate. Per non parlare della crisi di panico del derby, assurda, o della prova poco convinta di Torino, testa svagata e idea di poter vincere solo per grazia ricevuta, con sveglia suonata in pratica negli ultimi dieci minuti dopo non so quanto di puro anonimato. Suning, la famiglia Zhang insomma, si è accomodata ai piani alti della Società da pochi mesi, una decina giorno più giorno meno; ma una parte della tifoseria nerazzurra – più di quanti crediate, ve lo assicuro – è col fucile a pallettoni carico e pronto a sparare. E questi non capiscono niente, e cosa vuoi che ne sappiano di calcio, vengono dalla Cina, e ho paura che in futuro ci mollino col culo per terra più un’altra serie di amenità sul genere. A questi ottimisti per natura ricordo che chi ha preceduto Jindong ha, inizialmente, fatto errori e nemmeno troppo lievi; oppure davvero credete che Caio, Rambert, la permanenza di tale Hodgson in panca più molte altre disgrazie – calcisticamente parlando, ovvio – fossero banali incidenti di percorso? Perché, in tal caso, se si è pazientato per anni e anni prima, non vedo il motivo per cui non farlo adesso. Senza scordarsi che Suning viene non solo da un altro Paese ma, pensateci bene, da una civiltà diversa, da un modo di pensare quasi agli antipodi rispetto al pallone italiota. Voci di corridoio, più di salone delle feste che non corridoio diciamo, raccontano di uno Zhang senior particolarmente incazzuso; ma dai, ed io che credevo venisse a Milano per offrire rinnovi di contratto a destra e a sinistra, con annessi ovvii aumenti vista la fantasmagorica cavalcata degli attuali fruitori del nerazzurro sulle spalle. Jindong non è semplicemente incazzato, parecchio di più; il personaggio, lo ricordavamo un paio di settimane fa, non è il paparino buono di morattiana memoria. E, a quanto si mormora, insieme al maggior numero di giocatori possibile per i quali dovesse arrivare un’offerta considerata perlomeno congrua, a rischiare la permanenza a Milano sponda colori del cielo e della notte ci sarebbe anche una parte di dirigenza. L’arrivo di Lele Oriali, il ritorno del figliol prodigo invocato da tempo, potrebbe valere come pietra sulla quale ricominciare a costruire; sia chiaro, non la panacea di tutti i mali, ma Gabriele (mi permetto di chiamarlo per nome, visto che ci accomuna) conosce come pochi l’ambiente Inter, è un vincente, ha un nome noto in tutto il mondo calcistico e ha partecipato attivamente al triplete godendo della stima e della fiducia illimitata di calciatori e staff tecnico. Attualmente, a casa nostra, questa figura non è che manchi; è del tutto assente. Non c’è. Non esiste. Forse, ci fosse un Oriali, eviteremmo chiacchiere e parole in libertà da parte di chi rappresenta i calciatori nerazzurri. Negli ultimi quindici giorni abbiamo appurato, grazie a virgolettati riportati da quotidiani e siti specializzati (quindi non frutto di fantasie ma dichiarazioni vere e proprie), che alcuni procuratori hanno giocatori richiestissimi da altri club (mi fa piacere, ma le offerte all’Inter dove sono???) e senza problemi di ricollocazione. Ci sono poi i “pentiti” della scelta; coloro che, forse, tornando indietro cambierebbero destinazione. Più i soliti noti, chi si fotografa in posti improbabili, chi è attivo sui social con like a destra e a manca, fornendo poi prestazioni altamente insufficienti sul campo. Insomma, una specie di lazzaretto di insoddisfatti che però, a fine mese, riceve regolarmente lo stipendio da F.C. Internazionale Milano, Società alla quale li lega da un contratto che nessuno ha sottoposto loro dietro minacce di alcun genere. Situazioni che non fanno bene all’ambiente; immaginatevi di dover lavorare in un posto dove tizio o caio un giorno sì e l’altro pure non vedono l’ora di andarsene. Dove si pensa a tirare avanti in attesa delle vacanze estive. Dove tutte le scuse sono buone che tanto, alla fine, a pagare è sempre e soltanto il tipo in panchina. Delirante è dire poco. Inutile stare a pensare a mercati faraonici, a chi arriverà l’anno prossimo, a quale budget Suning metterà a disposizione per l’estate; bisogna ripartire da chi ha voglia di giocare nell’Inter, da chi sa cosa significano questi colori nella storia del calcio mondiale, da chi ci mette anima, cuore e palle in ogni circostanza. Gli altri, quelli sempre insoddisfatti, cederli; stasera, al Meazza, ci saranno più di 60.000 spettatori, nonostante il recentissimo passato e le prestazioni non all’altezza. C’è un popolo, quello nerazzurro, che ama i propri colori come pochi. E non si merita gli spettacoli a cui è, purtroppo, obbligato ad assistere. Buona domenica a Voi. Amatela, sempre!
Sezione: Editoriale / Data: Dom 30 aprile 2017 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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