La lezione di anatomia della nuova Inter di Luciano Spalletti è un viaggio lungo quattro mesi, dieci giornate e 26 punti in Serie A, che assomiglia - in maniera certamente meno macabra - all'esperimento romanzesco del dottor Victor Frankenstein sul suo famoso 'mostro'.

Si comincia dal basso, il punto in cui questa creatura poggia a terra: i piedi, in natura, sono le estremità del corpo che hanno maggior contatto col suolo, ma - all'evenienza – possono pure issarsi in volo per diventare formidabili armi per una volée come quella abbacinante con cui Icardi ha regalato il secondo momentaneo vantaggio nel derby. Già, perché il sostegno sui cui la spaventosa creatura nerazzurra si regge ha gli artigli di Maurito, implacabile stoccatore in campionato con 11 centri in 10 gare. Uno che quando ghermisce la preda, pardon la palla, non ha pietà nello scaraventarla a rete per sentenziare il portiere di turno. 

Proseguendo la metaforica esplorazione, ecco le gambe, laddove si trovano quei muscoli che contribuiscono ai movimenti fondamentali per la locomozione. E anche in questo caso la scelta è facile: nel calcio moderno è difficile trovare arti inferiori più poderosi di quelli di Ivan Perisic, non a caso definito da molti un decatleta prestato al football. Il croato, oltre a 'strappare' come pochi al mondo anche su distanze lunghe, spesso fa sfoggio di quella spinta propulsiva che si vede sovente oltreoceano sui parquet della NBA, staccando in terzo tempo per prendere quota sospeso in aria sopra gli avversari.

Sopra le gambe ecco il fondoschiena, dotatissimo nelle dimensioni per espressa richiesta del suo demiurgo. D'altronde, avendo la possibilità di plasmare la perfezione, il tecnico di Certaldo ha ben pensato che lì potesse anche scappargli la mano. “Ho sicuramente il vento a favore perché ho fatto un bel percorso, ho forse più fortuna di quanto si è visto finora", ha dichiarato minaccioso prima di sbattere contro tre legni con la Samp. Il difetto di fabbricazione, almeno per ora, non si vede.

Passando oltre, si sale verso il busto, laddove nella gabbia toracica batte il cuore pulsante di San Siro. Il battito di quasi 300mila persone in cinque giornate di campionato che spinge i giocatori oltre i loro limiti. Non è un caso che il 3-2 nel derby sia arrivato nello 'stadio più bello del mondo' (Candreva dixit). Non lontano dal cuore ci sono i polmoni, presi in prestito da Matias Vecino, l'uomo che percorre più chilometri di tutti avendo una resistenza invidiabile. 

Si arriva, poi, alle spalle, quelle gigantesche di Skiniar. Il centrale slovacco, anche oltre le previsioni più ottimistiche, si è caricato sul dorso il peso della difesa nerazzurra che neanche Atlante con la volta celeste. Da guidato a guida al fianco di Miranda è stato un attimo. E la casella dei gol subiti 'ringrazia'.

Si giunge, quindi, al collo, parte del corpo di raccordo tra testa e busto. Caratteristica incarnata da Borja Valero, propaggine naturale in campo delle idee tecnico-tattiche di Spalletti, nonché giocatore che – in determinate situazioni di gioco – risulta fondamentale nella posizione geografica che unisce centrocampo e attacco. Senza collo, d'altronde, non potremmo orientare la testa per permettere agli occhi di restituirci una visuale più ampia.

E su fino alla testa, parte del corpo più vicina al cielo, che contiene chiaramente gli impulsi del cervello del suo deus ex machina: tutto quello che succede nei pensieri di Luciano viene tradotto in azione dalle parti del corpo di cui sopra.

Anche dalle mani, organi prensili all'estremità del braccio, nonché strumento principale di cui – nel calcio – i portieri si servono per parare. Le dieci dita in dotazione al mostro nerazzurro sono quelle di Handanovic, le cui impronte digitali - per citare l'esempio più pratico - sono facilmente rintracciabili sul pallone che Rohden stava inchiodando a rete a Crotone.

E, allora, cosa manca a questo 'animale' apparentemente perfetto per sentirsi un tutto che sia più della somma delle singole parti? L'anima, che non si può né comprare né prendere in prestito. La si può creare, sostenendo il peso di una responsabilità che solo la storia della Beneamata può generare: "Non ci sarà mai tregua per quelli che hanno fatto la nostra scelta. Noi interisti obbligati a cercare la vittoria sempre", ha detto Spalletti in queste ore. 
La strada è quella, non esistono scorciatoie. E il 'dottor Frankenstein della Pinetina' lo ha già capito da un pezzo. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 26 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
vedi letture
Print