Dicesi merito, nella definizione dell'enciclopedia Treccani, "il diritto che con le proprie opere o le proprie qualità si è acquisito all’onore, alla stima, alla lode, oppure a una ricompensa (materiale, morale o anche soprannaturale), in relazione e in proporzione al bene compiuto".
Il termine suddetto, tema centrale della mini-conferenza stampa tenuta ieri sera da Luciano Spalletti, è diventato materia di discussione tra quest'ultimo e un giornalista che con la propria domanda intendeva misurare a parole le reali doti messe in mostra da Icardi e compagni al netto di un Cagliari che ha recitato egregiamente il ruolo di sparring partner nel 4-0 di San Siro. Rimanendo in piedi per miracolo nella prima ripresa per i diversi colpi mancati dal giovane Karamoh, per poi crollare al tappeto fragorosamente dopo un ko tecnico indiscutibile sul gong della seconda.

Siamo sempre lì, quando si parla di Inter la coperta è sempre corta, sia quando si fa riferimento alla rosa scarna, sia quando si deve dare un giudizio effettivo sulla bontà del lavoro della squadra in una determinata partita o in un momento specifico della stagione. Se guardiamo i numeri più evidenti, su un piatto della bilancia ecco il dato certamente migliorabile dei gol fatti (Beneamata quarta forza del campionato a quota 54), sull'altro quello confortante delle reti incassate (22 al passivo, leggermente peggio solo della nobiltà italiana rappresentata da Juve e Napoli). In mezzo un gruppo di giocatori e un tecnico di primissimo livello che, alla luce di un mercato più che funzionale solo fino a fine luglio, stanno facendo di necessità virtù con i mezzi a propria disposizione: logico, dunque, edificare il proprio destino sulle solide basi di una difesa pressoché imperforabile più che starsene lì a speculare sul gioco altrui per trovare il guizzo di un fenomeno che in rosa non c'è. E in questo senso, a proposito di top player dileguatisi alle ultime luci di agosto e gennaio, gli echi della parole rilasciate martedì pomeriggio da Walter Sabatini si odono ancora: "Volevo essere all'altezza, ma non essendoci i presupposti ho preferito dire grazie a Suning per l'opportunità. Io volevo fare il mio calcio, ma qui non potevo". Il dirigente di Marsciano, ingranaggio importante ma comunque minuscolo di un meccanismo appesantito dai troppi passaggi sull'asse Milano-Nanchino, ha capito prima di tutti che sotto il cielo di Suning Sports non esiste nessuna semplificazione nella stanza dei bottoni, situazione che si riverbera anche in campo, laddove l'Inter non può arrivare al gol tramite giocate straordinarie di un singolo campione (eccezioni straordinarie a parte), ma unicamente mettendo in pratica concetti tattici ben precisi, alcuni mandati a memoria già nelle prime settimane di lavoro, altri sviluppati con l'inserimento graduale dei nuovi (Cancelo e Rafinha) o dei vecchi in posizioni inedite (Brozovic). In ogni caso, pur con il rimpianto di non aver potuto contare su pezzi da 90 nel rettangolo verde, sembra sia davvero valsa la pena ricercare la propria identità grazie a un artista della panchina come il tecnico di Certaldo: se è pacifico che il 20 maggio si sommeranno i punti conquistati in 38 giornate, è altrettanto vero che nel medesimo istante, Champions o meno, l'ambiente e i tifosi si renderanno conto dell'eredità costruita in questa annata dal 'dirimpettaio della follia'. Colui che, con la lucida pazzia che lo contraddistingue, ha saputo trovare un punto di equilibrio stabile per ogni elemento della rosa, Brozovic in primis: il croato, creatore di gioco dell'Inter 2.0 del 2017-18, è il pezzo mancante del puzzle che Lucio aveva nascosto sotto una scarpa e che ha ritrovato giusto in tempo per dare un senso coerente anche alle altre tessere. Se la palla viene trasmessa con pulizia dal centrocampo all'attacco, sempre che Icardi si decida a venir fuori dal recinto dell'area di rigore, e che Perisic, Rafinha e Candreva lavorino bene negli spazi di mezzo, le soluzioni offensive si moltiplicano. E con loro le possibilità di arrivare in zona gol e di segnare (gli errori sotto porta sono anche più ammissibili se la quantità di occasioni create aumenta).

E' per questo che ieri, poco prima di mezzanotte, Spalletti ha voluto premiare pubblicamente la prestazione collettiva dei suoi, quando in altre circostanze – anche con alcuni contropiedi comunicativi – li aveva stranamente bacchettati: "Do merito anche alla mia squadra", le parole precise utilizzate. Che poco prima, anche con un filo di polemica, aveva sottolineato il tentativo scientifico di svilire tecnicamente l'avversario di turno per sminuire il valore assoluto dell'Inter: "Contro l'Atalanta il secondo tempo dicevate che abbiamo fatto meglio perché loro sono calati, stasera (martedì sera ndr) non erano credibili questi... Si vuole dare il verso che vi pare alle cose, è un giocare contro. Stasera non gli abbiamo permesso di mettere mano alla partita perché siamo entrati in campo determinati".

E' questo, in fondo, il fine ultimo che l'Inter sta inseguendo, ovvero il fatto di determinare il proprio destino da sé, provando a diventare indipendente dalle capacità delle varie contendenti. E' inutile per noi comuni mortali disquisire sul merito, è un argomento fin troppo soggettivo, come è superfluo chiedersi chi fino a qui si sia guadagnato il diritto di finire nella top 4 della Serie A. A maggior ragione dopo la girandola di emozioni sul campo di Firenze del turno appena andato in archivio. Meglio allora rivolgere il quesito sulle possibilità dei nerazzurri di partecipare alla prossima Champions League al supercomputer 'Pensiero profondo' che, dopo un'elaborazione a tempo di record, ha risposto '32'*. 

*dato differenza reti

VIDEO - GOL E IMPRECAZIONI: INTER-CAGLIARI VISTA DA TRAMONTANA

Sezione: Editoriale / Data: Gio 19 aprile 2018 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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