Sei mesi di Spalletti e diciotto (circa) di Suning, con un’oggettiva difficoltà nel delineare il presente il futuro di squadra e società. Dal punto di vista tecnico Spalletti ha svolto un lavoro importante, da quello mentale persino eccellente, almeno fino a dicembre. Rosa corta, pochi ricambi validi e stagione che possiamo riassumere con un voto positivo ma non ancora rassicurante. L’allenatore, a prescindere dai difetti, ha il piglio giusto ed è il miglior investimento fatto dalla società, dopo anni di scelte indecise e scommesse in panchina.

L’acquisto migliore è per distacco Skriniar, apparso clamorosamente in forma e centrato anche a dicembre, nonostante il resto della squadra annaspasse. Cancelo impiegato pochissimo, si è rivelato preziosissimo e tecnicamente molto valido, con margini di crescita in un ruolo di esterno basso che lo sacrifica troppo. Gli altri acquisti sono più ordinari: Borja Valero non è un fuoriclasse ma un ottimo ragionatore, Vecino non è Nainggolan ma la sua presenza è fondamentale, Dalbert non pervenuto, Karamoh è troppo giovane. Il resto della squadra ha seguito l’inerzia indicata dal tecnico, percossa mentalmente, ha giocato decentemente con un’organizzazione di gioco che le ha permesso di toccare vertici forse illusori contro Sampdoria, Atalanta e Chievo e un apparente maturazione contro Napoli e Juventus, rimediando pareggi importanti e vittorie significative con Roma e Milan.

Sul più bello la squadra è poi crollata fisicamente e mentalmente, esaurendo il credito assegnato. Si diceva da tempo che non era importante la prima partita persa ma la reazione che ne sarebbe derivata. I fatti dicono che l’Inter non ha più vinto e ha sofferto contro qualunque avversario. Chi pensa ad un fattore fisiologico dovuto alla rosa corta, è stato smentito platealmente da Icardi, il quale ha rivelato a mezzo stampa, che la squadra si è allenata peggio, si è applicata meno, per motivazioni, aggiungo io, inspiegabili. Non ci sono se, non ci sono ma. Se ti alleni male è perché i giocatori non hanno mentalità, se non hai mentalità ti alleni superficialmente e ti stanchi prima. L’Inter ripete da sei anni impunemente questo trend: momenti positivi alternati con altri oltraggiosamente negativi, perché non c’è vera fame e i giocatori non hanno le qualità mentali per raggiungere traguardi troppo ambiziosi. Qualcuno non ha nemmeno grandi qualità tecniche, eppure Brozovic, Handanovic, Santon, Joao Mario, Perisic, per citarne alcuni, senza essere fuoriclasse, hanno piedi buoni o un fisico importante ma vanno fuori quadro con estrema facilità.

Il mercato di gennaio è di tipo quantitativo, ancora prima di essere qualitativo, nella speranza che Lisandro Lopez sia meglio di quanto si creda e Ramires sia ancora quello del Chelsea. Il mercato è figlio di una società composita, non ancora chiara nella sua emanazione. Dopo un anno e mezzo di Suning all’Inter viene da chiedersi che tipo di presidenza sia. Perplessi tra il desiderio di essere orbi di fronte agli sforzi che sta intraprendendo, grati per aver preso l’Inter, pur non essendo un affare (società senza stadio di proprietà) e sereni perché si tratta di un colosso solido, sprovvisto di ambiguità finanziarie, oppure preoccupati per la gestione contraddittoria dell’Inter, inquieti per i lunghi silenzi interrotti da annunci spavaldi di Steven Zhang, rampollo della famiglia e dubbiosi per un’idea di Inter che è più quella realistica e di basso profilo tratteggiata da Piero Ausilio, piuttosto che quella ambiziosa di cui ci parlava (all’inizio) Suning.

Riassumendo: in pieno regime di fair play finanziario, il gruppo Suning ha tracciato una linea di discontinuità dalla gestione Thohir ma lo ha lasciato come presidente, si è accollata il debito e ha speso più di 80 milioni affidandosi a Kia Joorabchan, per prendere Gabigol, presentato come Ronaldo, oltre a Joao Mario. Circa il 30% di quel denaro è andato fuori dal calcio, tra fondi di investimento e intermediari e ha mostrato una proprietà che i soldi voleva e poteva spenderli, a prescindere dal FPF. Si poi affidata a De Boer, dopo aver mandato via Mancini, dando vita ad una stagione disgraziatissima e riuscendo ad uscirne con l’immagine intatta perché in fondo la proprietà era appena arrivata e i suoi numerosi errori sono parsi accettabili, anche dai tifosi che leggevano dello straordinario potere economico del gruppo.

Durante il 2017 Steven Zhang, rampollo della famiglia e unico a conoscere l’inglese (ma non l’italiano), si è insediato come reggente dell’Inter, indicando un futuro pieno di soddisfazioni perché, a suo dire, il gruppo Suning è estremamente ambizioso. Alle sue parole e alla solidità si è creduto molto, moltissimo, almeno fino a luglio del 2017. Da quel momento si è creata una frattura tra l’aspettativa generata dalle parole e le azioni della neoproprietà e la realtà dei fatti, improvvisamente mutata con il cambio di direzione politico affaristica dettata dal Governo cinese. Dai sogni di campagna acquisti di grande livello ad una linea di austerità, asciutta, descritta unicamente dalle parole realistiche di Piero Ausilio. Parole sul presente, nessuna sul futuro. In linea con la tendenza della squadra, la società ha fatto capire che non farà sforzi, seguendo il principio del fair play finanziario e ricorrendo a prestiti, per almeno un altro e mezzo dunque, termine entro il quale scadrà il monitoraggio della UEFA.

L’Inter nel primo anno di esercizio ha fatturato 75 milioni in più della gestione precedente ma oltre a questa cifra è difficile che possa andare. Specie senza stadio. Non è dato a sapere se tra un anno e mezzo verranno fatti investimenti maggiori. Si vive alla giornata, sperando che l’eventuale mancato approdo in Champions non diventi un pretesto per restare a lungo una squadra da quarto, quinto o sesto posto, le ambizioni dell’Inter sono altre. Per ora: fiducia in Suning. Amala.

Sezione: Editoriale / Data: Lun 15 gennaio 2018 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo / Twitter: @LapoDeCarlo1
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