Era nell'aria, non poteva tardare ancora la prima vittoria in campionato dell'Inter targata Roberto Mancini. E che sia arrivata sul campo del Chievo, avversario che spesso ci ha fatto piangere e che sotto la guida di Rolando Maran aveva conquistato due vittorie e tre pareggi in cinque partite, aumenta i meriti dei ragazzi in maglia nerazzurra. Che non hanno disputato nell'umida e tanto british serata del Bentegodi una gara da consegnare a un ipotetico museo del calcio (Handanovic tra i migliori in campo), ma è sembrato finalmente che abbia vinto la squadra più forte, come logica vorrebbe, mentre troppo spesso la Beneamata aveva alzato bandiera bianca anche contro chi oggettivamente è più debole, vedi Cagliari al Meazza e Parma (e la sconfitta del Tardini ha fatto veramente vergognare chi si ciba quotidianamante di pane e Inter).

Con la nuova gestione sta aumentando pian piano l'autostima del gruppo, ingrediente che in questa fase storica è anche più importante di schemi e tattiche. E la bravura in questo senso del Mancio, a mio avviso, è emersa proprio dopo la mazzata della sconfitta interna con l'Udinese. Troppo facile per i superficiali o per quelli in malafede proporre subito paragoni fantasiosi con l'era Mazzarri per dimostrare come Mancini sia solamente un effetto mediatico utile a tenere buona la gente. Invece, senza scadere nell'idolatria, ritengo importante il lavoro psicologico svolto dal tecnico nerazzurro che, pur dichiarandosi “incazzato” nero per la sconfitta di domenica scorsa, ha preferito sottolineare la bontà del gioco espresso nel primo tempo invece che disperarsi per il karakiri della ripresa. E se al lavoro psicologico aggiungi quello tattico, tutti i giorni sul campo, prima o poi cogli i frutti anche se non alleni più i vari Ibrahimovic, Maicon, Crespo, etc etc.

Il più colpito in positivo da questo doppio lavoro che incide su testa e giocate, sembra essere Mateo Kovacic. Che fosse un talento purissimo lo si sapeva ancora prima che, giovanissimo, approdasse alla Pinetina. Ma il croato ha disputato, sotto la guida di Stramaccioni e Mazzarri, troppe partite condizionato da una timidezza di fondo che lo portava a scaricare banalmente la palla al compagno più vicino, senza mai incidere veramente nel cuore della manovra. E con Mazzarri, nella scorsa stagione, complice anche un infortunio estivo, troppe partite le ha viste dalla panchina con il risultato che forse anche il ragazzo iniziasse a dubitare delle sue capacità. Dopo aver sottolineato più volte, nelle due conferenze stampa pre-derby, come Kovacic sia un potenziale grande trequartista, Mancini ha esordito nella stracittadina piazzandolo largo a sinistra. Prova incolore contro i rossoneri, poi Kovacic out per un piede dolorante in Europa league e contro la Roma, rientro contro l'Udinese.

Quasi tutti, Stramaccioni in testa, pensavano che il talento croato fosse piazzato ancora sulla corsia esterna e invece eccolo lì, tra le linee, come dicono quelli bravi. Buona prova nei primi 45 minuti, come l'intera squadra, buio nel secondo tempo, come l'intera squadra. Lunedì a Verona, un po' mezzala, un po' dietro le punte. Risultato: prestazione di spessore condita da un paio di fallacci subiti che fanno diventare grandi e forgiano il carattere. Non ha le idee confuse Roberto Mancini riguardo Mateo Kovacic. Gli sta facendo assaggiare posizioni di campo diverse per costruire un giocatore in grado di saper fare tutto e con una qualità superiore alla media. “Ora sto imparando a muovermi”, dice Mateo che finalmente cammina a testa alta e petto in fuori.

Un altro giocatore su cui vuole lavorare duramente il Mancio, è Fredy Guarin. Che spreco quella potenza atletica, quella corsa con accelerazione devastante, quella tecnica di base superiore, ma senza costrutto utile alla squadra. Benedetto ragazzo, perché non impari a giocare con la testa e soprattutto, non da solo contro tutti? Questo penserà Mancini che non è tipo da arrendersi facilmente e invece di spedire il giocatore in panchina, affronta la questione sul campo. Vuoi vedere che il tecnico riuscirà a vincere anche questa scommessa? Se così fosse l'Inter, ora a sei punti dal terzo posto, avrebbe due frecce in più nell'arco che necessita comunque di rinforzi a gennaio. Mancini ha parlato chiaro, desidera uno o due esterni d'attacco che gli consentano anche di variare modulo.

Non credo invece gradisca più di tanto il vociferato ritorno a Milano, di nuovo sponda nerazzurra, di Mario Balotelli, nonostante il 45 sia il vero amore tradito del Mancio. Ecco, forse quella scommessa l'ha definitivamente perduta e sarebbe controproducente insistervi. Chissà se qualcuno in società stia veramente pensando all'operazione, nel caso lunedì sera avrà preso nota dei cori sulla questione ascoltati dal settore ospiti del Bentegodi. “Balotelli non lo vogliamo”. Siamo sicuri che sia solo uno slogan buono per la ritmica ultrà e non il pensiero comune del popolo nerazzurro?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 17 dicembre 2014 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
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