A volte è davvero così mutevole che viene da chiedersi che senso abbia. Fare cronaca? Utile, finché si resta attaccati al momento. È quando ti spingi più in là, a trarre i primi giudizi e i bilanci intermedi, è lì che la realtà ti prende per il naso. I saliscendi di un campionato sono tanti, soprattutto per quelle squadre che non si presentano al via con la scocca granitica delle corazzate. All’inizio sai bene che non sarà facile, che se non lotti per lo scudetto ci sarà inevitabilmente il momento di grande entusiasmo e quello di bassa, lo metti in preventivo. Facile a dirsi. Quando poi finisci dentro al ciclone, il ricordo dei fallimenti passati fa paura, innervosisce chi guarda dall’alto e atterrisce chi ha il pallone tra i piedi. Di contro, se riesci a rimettere la testa fuori dall’acqua, tutto sembra meraviglioso, e la tua risalita pare non aver più limiti. I momenti di Inter e Milan, come all’andata, sono all’opposto, ma soprattutto sono l’esatto opposto di ciò che erano all’andata.

Con Gattuso, e soprattutto col tempo, l’intesa e un nuovo modo di approcciare il campo, i rossoneri hanno trovato entusiasmo, un ardore quasi bellico, tipico di chi va spavaldo a combattere per la patria. Ecco, al netto dei luoghi comuni sulla maglia e l’attaccamento, ormai un lusso romantico e un po’ sfigato per chi guarda il calcio, il Milan possiede un’identità, una coesione sorprendente per un affastellamento caotico di nuovi arrivi e lasciti più o meno graditi dell’ancien regime, qual era la rosa rossonera ai nastri di partenza. È bastato un tecnico veemente, preparato e ben avvezzo all’ambiente; soprattutto, è bastato il tempo e quella naturale selezione darwiniana che solo le settimane e i mesi sanno fare, separando l’erba buona da quella cattiva alla luce di quanto si vede sul campo, senza che il peso di un cartellino strapagato possa ancora pesare sulle spalle di chi sceglie.

Di contro, tutte le contraddizioni che negli ultimi due mesi sono esplose in casa nerazzurra. Al solito, da queste parti, le crepe non restano mai crepe a lungo, ma diventano burroni, si alimentano di dicerie e comprensibili malumori, soprattutto trovano nel campo da gioco il luogo in cui si manifestano in modo più evidente. È una specie di circolo vizioso, per cui il primo risultato negativo apre le porte degli inferi, e non sai mai se il disastro tecnico è frutto di quello mentale, o viceversa. Il primo tempo col Benevento, in questo senso, è la prova più lampante di un’assoluta inadeguatezza dei nerazzurri nel caricarsi la responsabilità sulle spalle, perché la situazione è troppo pesante per chi le spalle larghe non le ha mai avute. Come si ferma dunque un treno lanciato in queste condizioni?

Si è già detto come, in fondo, le due squadre abbiano vissuto una stagione finora speculare. Per fortuna, però, la classifica resta ancora figlia di quel rampante girone d’andata dell’Inter, confrontato alle difficoltà che i rossoneri hanno sperimentato nell’assemblaggio della rosa. Se la posizione è di vantaggio, e l’avversario arriva spensierato e lanciato come un treno in corsa, occorre opporglisi con fermezza, piuttosto che lanciarcisi contro. La parola d’ordine, insomma, sarà ripartire, e peccato per quelli che vagheggiano il futbol bailado, difetto che affligge anche chi scrive.

Il gioco che Gattuso ha confezionato per il suo Milan, d’altra parte, suggerisce proprio una strategia attendista da parte nerazzurra. Il Milan, di per sé, è grintoso e rampante, quasi giovanile nell’ardore che mostra quando attacca l’area avversaria con una quantità di uomini che non è per nulla comune, almeno in Italia. Come tutti gli entusiasmi giovanili, però, quello rossonero è un atteggiamento perforabile, magari proprio a partire dalla sterminata fiducia che adesso porta i ragazzi di Gattuso a cercare il passaggio rischioso a metà campo, il filtrante ardito per le punte, anche a costo di beccarsi la ripartenza letale. È lì che l’Inter dovrà agire, sfruttando l’inevitabile errore che, prima o poi, occorrerà ai loro intermedi per colpire bene, e tornare a colpire proprio come sapeva fare a inizio stagione, quando le galoppate di Perisic e Candreva diventavano la soluzione più ovvia e pericolosa per far male all’avversario dopo che questi aveva perso palla. Nessuna paura, dunque, davanti a un probabile forcing iniziale dei cugini. La solidità difensiva dell’Inter, rispetto al molle groviera visto l’anno passato, è l’unico reale upgrade che possiamo vantare da queste parti: accettare di lasciar soffrire un po’ la retroguardia, con la prospettiva di andare a colpire l’avversario proprio nel momento del suo massimo sforzo, può e forse deve essere la soluzione.

Ci sarà tempo per la ricostruzione di un’identità, per la creazione di un’Inter più ragionata e propositiva di quanto non sia visto finora, fatte salve quelle oasi rigogliose di piacere che si sono intraviste con Sampdoria, Chievo e Napoli. Ogni tentativo in tal senso, d’altra parte, passa da una buona lettura del derby. Rinunciare alle suppellettili adesso per ritrovare serenità e bel calcio in futuro. Occorre difendere una buona classifica, visti anche gli altri incroci del weekend; se possibile, senza troppa pietà, si può tentare di eliminare un potenziale avversario. Lì davanti, d’altra parti, tornerà uno che alla pietà preferisce un altro genere di sentimenti. Serviamolo, lasciamolo segnare, e poi penseremo a come essere più belli.

Sezione: Editoriale / Data: Ven 02 marzo 2018 alle 00:00
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
vedi letture
Print