Nel day after del benvenuto a Joao Miranda (tanta roba), dell'accordo per Martin Montoya (terzino d.o.c.), del rinnovo di Ranocchia (last minute) e dell’addio a Zdravko Kuzmanovic (#respect per chi ha sempre lottato in campo) e del toto mediano, mi si conceda  un piccolo passo indietro che sarà da qualcuno etichettato come chiara applicazione della morale de ‘La volpe e l’uva’. Ma correrò il rischio. Si è parlato tanto, troppo di Giannelli Imbula che, ammetto, prima di entrare nella lunga lista di obiettivi nerazzurri non conoscevo se non di nome. Ovviamente mi sono informato su vita, morte e miracoli di questo 23enne francese nato in Belgio, scoprendo persino che un paio di anni fa aveva detto no al Chelsea, che lo voleva acquistare per poi girarlo chissà dove.

Oggi, senza timore di smentita, posso finalmente sostenere che questo centrocampista non arriverà, anche se questa sensazione negativa mi ha accompagnato sin dal giorno dell’arrivo di Kondogbia in nerazzurro. Era un sabato pomeriggio e, dopo l’esaltazione del sorpasso nel derby, già si parlava della doppietta d’oltralpe di Ausilio e Fassone. Troppo frettolosamente, viste le cifre in ballo solo successivamente mitigate da una potenziale cessione in prestito oneroso con riscatto procrastinato nel tempo.

Personalmente, non ho mai fatto il tifo per l’arrivo di Imbula all’Inter. Nulla contro questo ragazzo, sicuramente un bel prospetto visto l’investimento del Porto che, in tema di affari, non è secondo a nessuno. Però a livello tattico e tecnico l’ho sempre inquadrato come un’alternativa a Kondogbia, non certo un partner di centrocampo. Sia in un 4-2-3-1 sia in un 4-3-1-2, a Mancini la scelta. Conoscendo poi l’esplosività di Kondo, che lo porta anche a forzare le percussioni, al suo fianco avrebbe più senso un mediano bloccato che mantenga l’equilibrio. Imbula lo ha fatto a Marsiglia, ma i 42 gol subiti in Ligue 1 (ben sopperiti da un attacco atomico) testimoniano come non sia stato proprio una diga insuperabile. Colpa soprattutto di una tendenza, quella di Marcelo Bielsa, a offendere piuttosto che a difendere. Spettacolo puro per gli amanti di questo gioco, meno per gli esteti della tattica. E in Italia sappiamo come funziona.

Da non sottovalutare, poi, proprio il discorso Loco, un allenatore che riesce a estrarre il 120% dai propri giocatori, in puro stile zemaniano. Giocatori che, spesso, una volta fuori da quel contesto, non riescono più a esprimersi agli stessi livelli. Una scommessa, insomma, che l’Inter avrebbe fatto inizialmente a basso costo, salvo poi, nel bene e nel male, ritrovarsi a dover pagare la bellezza di 20 milioni di euro a prescindere dall'andamento. Davvero ne valeva la pena, soprattutto dopo l’exploit Kondogbia? Meglio, se sono a budget, dirottare questi dindini su un attaccante esterno/seconda punta di alto livello, che possa sobbarcarsi l’eredità di Palacio dal 2016 in poi.

Ora, dopo la volpe e l'uva, mi prendo un rischio, confermando le stesse perplessità su una trattativa ancora in corso: Mohamed Salah. Bel giocatore, dribbling ubriacanti, mancino preciso e freddezza sotto porta. A Firenze sono pronti a dissanguarsi per trattenerlo, anche l’Inter ha in canna uno stipendio niente male per lui, auspicando un prestito con obbligo di riscatto a una ventina di milioni di euro. Torno a porre la domanda di cui sopra: appurato che Xherdan Shaqiri è a tutti gli effetti un giocatore nerazzurro e tale rimarrà, noto in entrambi caratteristiche decisamente simili, pur se con risultati molto diversi, quasi agli antipodi, nel loro primo spezzone d’Italia.

Ipotizzo, per la nuova stagione, un’Inter impostata con i moduli sopra elencati (salvo poi passi indietro in corso d’opera a cui il Mancio ci ha abituati). Ecco, due esterni d’attacco mancini sarebbero un limite perché solo uno di loro si potrebbe accentrare per concludere. E sia Salah sia Shaqiri amano farlo. Poi, per l’amor del cielo, una soluzione si trova sempre quando hai talento a disposizione, ma è bene che l’equilibrio si respiri già sulla carta prima che sul campo. Giusto ricordare, poi, che a gennaio l’Inter investì sullo svizzero in luogo dell’egiziano, bloccato da diverse settimane e lasciato poi alla Fiorentina. La scelta, in altre parole, è stata fatta a suo tempo.

Il mio desiderio ha un nome e cognome: Stevan Jovetic. Vorrei vederlo vestito di nerazzurro da anni, neanche il percorso zoppicante in Premier League mi convince a desistere. So bene che il montenegrino non è la classica ala, ma Mancini trova sempre un posto a chi ha talento. E con il talento le partite si vincono. C’è una trattativa in corso, da quanto so JoJo gradisce da tempo la destinazione Inter e se il City non opponesse il solito muro di gomma chissà che l’affare non vada in porto. Piero Ausilio, si può fare?

Sezione: Editoriale / Data: Mer 01 luglio 2015 alle 00:00
Autore: Fabio Costantino / Twitter: @F79rc
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