Dopo un inizio ruggente, il motore dell’Inter ha iniziato a tirare qualche sbuffo di fumo dovuto al sovraccarico della struttura. Cinque vittorie, un pareggio ed una sconfitta sono un ottimo ruolino di marcia e probabilmente ad inizio campionato Roberto Mancini avrebbe messo la firma all’idea di trovarsi secondo in campionato, con Milan, Juventus e Napoli discretamente staccate in classifica. Però il bel gioco. Però le palle perse. Però Felipe Melo il cattivo. Però Kondogbia non ingrana e Perisic stenta a trovare una posizione. E Ljajic dove lo mettiamo? Tutto questo caos di avversative alla frase “L’Inter sta diventando una buona squadra” è scoppiato poco dopo la sconfitta con la Fiorentina, momento catartico (e decisivo) della stagione nerazzurra. 

La situazione è di per sé quasi surreale, ma tant’é: l’Inter, dopo aver battuto il Verona, è sola a quindici punti, si legge addirittura un paragone con il Barcellona in virtù del punteggio pieno, e si appresta ad affrontare la Fiorentina, prima contro seconda, Pacquiao contro Mayweather. Succede però che all’Inter capita la più classica delle partite storte e il match va in archivio dopo mezz’ora di gioco. E lì si accende la prima fiammella polemica: Mancini ha schierato l’Inter con un insolito 3-5-2 con Santon centrale e Perisic esterno e questa viene discussa durante la settimana, mentre il tecnico si dimostra fedele alle sue idee e difende la scelta, manifestando una certa insofferenza alle critiche vista l’impossibilità di valutazione poiché dopo una manciata di minuti la gara con la Viola era stata già compromessa da un errore del singolo. E, come si diceva poc’anzi, sembra quasi che la bomba ad orologeria programmata per il momento in cui l’Inter avesse iniziato a perdere colpi, deflagri. Pioggia di critiche e ritrattazioni improvvise di opinionisti che prima davano l’Inter ai primi posti e ora è addirittura dietro la stessa formazione di Sousa nella corsa all’Europa e perfino meno accreditata del redivivo Napoli di Sarri (lui prima criticato, ora esaltato a fenomeno) per i piani alti della classifica. Il carrozzone che accompagna i tifosi di domenica in domenica si è rimesso in moto e non accenna a diminuire la sua corsa, anche se questa instabilità emotiva fatta di titoli, idee e interpretazioni ad un certo punto arriva a stancare. 

La verità è che bisogna imparare a convivere con i propri errori, che siano questi una copertura sbagliata, un tiro sotto porta uscito di poco, una scelta tattica rivelatasi controproducente. Chiunque durante una stagione commette degli errori, dall’allenatore ai giocatori, fino ai giornalisti. Non è imbastendo un fantomatico Caso-Brozovic che si destabilizza l’ambiente, così come non è che se Gnoukouri non gioca dalla partita contro l’Atalanta, allora l’Inter ha smesso di credere in lui e quindi verrà ceduto. E’ lapalissiano dire che la squadra non risente di queste situazioni interne o del fatto che Jovetic abbia saltato due partite per un dolore fisico e che nonostante tutto ora sia in Nazionale. E chi ha criticato Perisic (per poi applaudirlo contro la Sampdoria) dovrebbe riguardarsi meglio le partite dell’Inter: il croato ha sempre giocato in quella posizione ibrida da trequartista difensivo ed esterno offensivo, a parte la partita del Meazza contro la Viola. Quindi non è solo la posizione che permette ad un giocatore di esprimersi al meglio, come ho sentito dire. E’ anche la confidenza dello stesso con un campionato particolare qual è la Serie A, che per forza di cose ad inizio settembre è diversa da quella che un giocatore di ventisei anni può avere appena trenta giorni dopo. Mentre per quanto riguarda Kondogbia, anche la scorsa stagione è entrato in condizione tardi, avendo il suo periodo migliore tra novembre e marzo. La constatazione del fatto che il francese debba abituarsi ad un calcio diverso da tutti quelli che finora ha giocato rasenta ormai il ridicolo, per la quantità di volta in cui è stata proferita, tanto che sembra quasi se ne sia dimenticato il senso: non stiamo parlando di un top player affermato, ma di un centrocampista di ventidue anni che aveva delle lacune ben prima di arrivare in Italia, su cui però l’Inter ha deciso di investire. E ora c’è un momento in cui bisogna soffrire e “pagare dazio” in alcune situazioni di gioco, per poi prendere i frutti del raccolto, una volta che la semina si farà matura. Non ci vorrà moltissimo tempo, perché Kondo ha dimostrato di avere potenzialità straripanti. Per cui è giusto evidenziare le sue difficoltà e il fatto che per ora non abbia ancora fatto la differenza (se non in alcune micro-situazioni all’interno di specifiche partite, come nel finale del derby) ma semplificare i primi mesi dell’avventura nerazzurra di Geoffrey associandolo a termini come “flop” è a dir poco angosciante per chi tenta di osservare il calcio in modo critico. 

La giusta risposta a questo tipo di mentalità l’ha data Dodò, uno di quelli che probabilmente vedranno il campo con il binocolo, ieri in conferenza stampa: “Non è importante se per cinque o ottanta minuti, se Mancini chiama io devo essere pronto a dare il mio contributo. Il resto non importa”. Perché quello che davvero ci ha insegnato il mondo del calcio è che l’unico tempo esistente è quello presente, l’oggi. Visto che non esistono più bandiere, non si può campare di rendita. Nemmeno Mancini può farlo, con il popolo interista. Il calcio è adesso. Non c’è domani se non si vince la prossima partita, così come ieri sarà solo un ricordo sfuocato, se non si vince ancora. Sono le regole che implicitamente si decide di accettare ogni volta che si scende in campo. Ognuno fa il proprio lavoro (si spera al meglio): chi deve giocare, chi deve analizzare, chi deve organizzare una squadra. Nel mondo attuale, pregno di valori relativi a seconda del risultato che si ottiene, l’unico giudice inflessibile è la vittoria. Quindi l’aver superato se stessi e l’aver agganciato il terzo posto. Che significa Champions League. Solo allora il campo avrà parlato e tutti gli scettici se ne staranno al loro posto. Fino ad allora, volenti o nolenti, le critiche, i dubbi, le calunnie potranno essere all’ordine del giorno. Mancini lo sa e lavora, incessantemente. 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 09 ottobre 2015 alle 00:00
Autore: Marco Lo Prato / Twitter: @marcoloprato
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