"Il calcio non è una scienza esatta". Quante volte ci siamo sentiti ripetere questa frase? Innumerevoli. A ogni commento, a ogni salotto sportivo, a ogni talk-show, a ogni intervista, a ogni bar sport: ovunque. Lo dicono i protagonisti, lo dicono gli appassionati, lo dicono i tifosi, lo dicono gli esperti, lo dicono gli studiosi. Tutti d'accordo, insomma. Il football è lo sport più amato perché anche il più incerto. Puoi non calciare in porta per 89 minuti, chiuderti in difesa, soffrire l'avversario e poi, come d'incanto, trovare la zampata dell'1-0 nell'unica azione offensiva e vincere la partita. E' la magia del calcio, che non risponde né a principi di giustizia universale né a canoni estetici. Vince chi fa un gol in più dell'avversario: tutto qui.

Eppure, troppo spesso vediamo il calcio essere trattato come una filosofia. Una sorta di scienza, appunto. C'è la ricerca del bello, se non addirittura la ricerca dello schema tattico perfetto. La ricerca della verità assoluta. Non più uno sport, insomma. E si creano orde di fanatici, che spesso e volentieri di calcio capiscono poco o nulla.

Da qui le mode. Senza andare troppo indietro nel tempo e perderci in tecnicismi ricordando il Metodo di Vittorio Pozzo o il Sistema di Herbert Chapman, possiamo tranquillamente restare agli anni nostri ed evidenziare i vari dogmi e le varie teorie che, di volta in volta, ci vengono somministrate. Col tempo e la ricerca ci accorgeremmo che molte di queste tesi sono fallaci e che in pochi hanno davvero portato qualcosa di nuovo. O meglio: tutti gli allenatori offrono novità, nessuno è la copia esatta di un altro. E' per questo che scappa da ridere ascoltando i soliti ritornelli riguardanti al calcio innovativo di Sacchi o di Guardiola. Un 4-4-2 di Tizio non sarà mai lo stesso 4-4-2 di Caio: cambiano i metodi di allenamento, gli insegnamenti, gli interpreti, le contingenze. E, soprattutto, cambia il modo di proporli, il rapporto umano, la capacità di comunicazione. Non bastano i manuali a spiegare tutto.

L'aspetto triste della vicenda viene dato dall'ideologia che ne fuoriesce. Un esempio illuminante: la tendenza a non considerare possibile un calcio senza il regista. "Non si può giocare senza un regista" è una delle frasi più odiose e più false di sempre. Oppure l'ostracismo verso la difesa a tre; l'ostinazione nell'iniziare l'azione dalla difesa con i centrali che si allargano e il centrocampista che si abbassa; la moda dei difensori obbligati a impostare; l'irrigidimento nel posizionare gli esterni alti a piedi invertiti. Tutte convinzioni che standardizzano e fanno perdere il reale senso del calcio. Un'ossessione nel dover confermare a tutti i costi che quello e solo quello è lo schema da utilizzare. L'unico schema vincente.

Roberto Mancini fu massacrato l'anno scorso per il continuo rimescolare le carte a livello tattico, eppure finché ha cambiato modulo era in testa al campionato. E questo è quanto ha detto Stefano Pioli a margine di Inter-Genoa 2-0: "Vi deluderò, ma non abituatevi a un sistema di gioco. Io credo nelle interpretazioni, ho giocatori con qualità e disponibilità, vedremo dalla prossima partita cosa usare e come interpretare la gara dal punto di vista delle posizioni. Ho fatto questa scelta oggi perché volevo essere efficace in certi aspetti".

Nessuna ossessione, nessuna verità scientifica. Il calcio è uno sport

Sezione: Editoriale / Data: Mar 13 dicembre 2016 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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