Un'Inter folle, che s'impantana in casa contro avversari alla deriva e che detta legge in trasferta su campi inespugnabili per i più. L'Inter che pareggia in casa con Catania, Chievo, Bologna e Udinese poi te la ritrovi che vince a Genova, a Parma, a Firenze, a Verona e fa un figurone all'Olimpico con la Roma. Un'altalena azionata da novembre e che non si è più fermata: giù quando poteva andare su e su quando si pensava che ormai andasse giù. In tutto questo, l'andamento oscillante è spesso rintracciato anche all'interno delle singole partite. Tanto al Tardini quanto a Marassi, infatti, i nerazzurri hanno alternato ottimi momenti ad altri da brividi. Più i rimorsi per la stagione che sarebbe potuta essere o più i sorrisi perché, alla fin fine, questo è il piazzamento meritato? Difficile dirlo.

Certamente, posiamo dire che la squadra, anche nei suoi momenti di maggior difficoltà, non ha mai perso un'identità tattica ben definita. Per qualcuno è un limite, per qualcun altro un pregio: il dato non muta, l'Inter ha un assetto ben definito, in cui tutti – titolari e riserve – sanno esattamente cosa fare. Ed è proprio questo l'indizio che ci spinge a riflettere e credere a chi parla di anno di transizione.

Sembra quasi che Mazzarri e Thohir abbiano deciso scientificamente di assestare una base solida a prescindere dagli interpreti in campo. Una base su cui le varie pedine sono gestite, valutate e talvolta centellinate. Un comparto di gioco serio e pragmatico, con codici ben definiti. Da qui si partirà per apportare i giusti correttivi a livello di mercato, andando a prendere soltanto giocatori funzionali al progetto tattico dell'allenatore. E se questo è stato l'anno zero, il prossimo dovrà essere necessariamente l'anno 1, senza alibi e senza ripensamenti. Le fondamenta sono state gettate, adesso ci si aspetta la costruzione vera e propria. Magari un paio di piani, ecco.

In fondo, in questo campionato abbiamo visto l'Inter in ogni sua forma: bella e vincente, brutta e perdente, bella e pareggiante, brutta e vincente. La discontinuità è stato l'unico segno di continuità. Un paradosso che ben disegna i contorni di una stagione dai molteplici volti. Ora c'è ancora un quarto posto da assaltare e, al contempo, un quinto da difendere. Tutto può succedere.

Thohir e Mazzarri, alla fine, vedranno il lato positivo. E ripartiranno.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 22 aprile 2014 alle 00:01
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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