Udite, udite, è arrivata la sentenza tanto attesa. È arrivata in un tardo pomeriggio di mercoledì nemmeno troppo caldo a Milano e dintorni, che però diventa alquanto bollente se malauguratamente ti ritrovi ad affrontarlo in un convoglio di Trenord che ad un certo punto rimane bloccato poco oltre il quartiere Bicocca per un non meglio precisato guasto e con l’aria condizionata immancabilmente non funzionante. E nel momento in cui ti chiedi cosa potrebbe andare peggio in quel momento, ecco che la legge di Murphy si manifesta in tutta la sua veridicità e ineffabilità con l’arrivo da Nyon del verdetto della Camera del Controllo Finanziario dei Club Uefa sul bilancio dell’Inter per la stagione 2016-2017 e sul rispetto dei paletti imposti dall’ormai famigerato settlement agreement.

Paletti che, Nyon dixit, l’Inter ha “parzialmente rispettato”. Un verdetto che, al primo impatto, suona quasi come una martellata sulle gengive: mesi e mesi di lavoro imperterrito, di valutazioni, di dichiarazioni ottimistiche arrivate anche qualche ora prima in merito alla fiducia in un responso positivo da parte dell’Uefa, e alla fine il castello di carte crolla quando si era arrivati in cima. Tutto questo perché non basta che la situazione finanziaria sia ben incanalata dopo i disastri degli anni precedenti, che il break-even sia stato raggiunto anche con comodità e che quindi è stata scongiurata una nuova sanzione economica, che gli accordi di sponsorizzazione sottoscritti da Suning in questi anni abbiano ricevuto il plauso da parte dei revisori dei conti del calcio europeo che hanno analizzato tutti i documenti possibili e immaginabili per capirne entità e genesi. No, tutto questo crolla perché sono cresciuti gli ammortamenti (o per meglio dire, il peso annuale del valore dei giocatori) all’interno della rosa, essenzialmente a causa degli acquisti pesanti di Joao Mario e Gabriel Barbosa, quei due giocatori che continuano a dare soddisfazioni al contrario al popolo nerazzurro e il cui arrivo a Milano continua ad avere effetti negativi anche ora che entrambi sono in lidi lontani.

Niente da fare, quindi. O meglio, non è andata come forse ci si aspettava: mentre la Roma e tre club russi possono brindare al superamento del settlement agreement, l’Inter dovrà ancora passare sotto queste forche caudine ancora per una stagione. Ma superata la reazione a caldo e dopo un’attenta riflessione, la valutazione dei fatti appare decisamente diversa. Cosa potrebbe cambiare nel lavoro della dirigenza nerazzurra dopo quanto asserito da Nyon? In sostanza, almeno dal punto di vista societario, poco, per non dire nulla. Perché in Corso Vittorio Emanuele erano tutto sommato ben consci che alla fine nulla di diverso sarebbe stato sentenziato dall’Uefa (anche se forse si nutriva una piccola speranza in una ‘carezza’, peraltro prevista anche tra i vari commi dell’accordo, visto il buon lavoro svolto per rientrare nei parametri); anzi, al momento di sottoscrivere il prospetto informativo del bond lanciato con grande successo qualche mese fa per trovare nuove liquidità, era stata messa nero su bianco alla voce ‘controindicazioni’ l’eventualità di non riuscire a rispettare le restrizioni in merito agli ammortamenti. Controindicazioni che comunque, visti i risultati, non hanno spaventato gli investitori, quindi, si può presupporre, ancor meno i membri interni alla società.

Cambia relativamente poco anche per quel che riguarda la questione forse più cara alla tifoseria, quella legata alla campagna acquisti. Non sono state introdotte sanzioni specifiche e quindi ci si può muovere con relativa libertà, fermo restando il dovere di tenere d’occhio la bilancia entrate-uscite per evitare nuovi guai di sorta. Purtroppo, però, si dovrà fare i conti ancora una volta, con uno spettro, quello della rosa ristretta con la quale affrontare la prossima Champions League, quel traguardo tanto anelato e arrivato all’ultimo respiro di un campionato incredibile, con un finale incredibile. E per il quale ora l’Inter rischia di presentarsi, anziché con l’abito di gala per le grandi occasioni, con un vestito confezionato alla bene e meglio, non proprio di qualità scadente ma comunque normale, troppo normale; con l’incubo ancora vivo nella mente di quell’Europa League giocata con le medesime condizioni due stagioni fa e finita come tutti, disgraziatamente, sappiamo.

Europa League i cui retaggi restano più vivi che mai oggi, se non altro perché si deve partire proprio da quella funesta esperienza per stabilire su chi Luciano Spalletti potrà contare a partire dal prossimo 18 settembre. La lista per la prossima Champions, infatti, dovrà essere parametrata cercando di arrivare alla somma zero tra le spese i giocatori nuovi da inserire e gli incassi per le cessioni di quelli che facevano parte di quell’organico. Una condizione che ha dato vita ad una ridda incontrollata, supposizioni, ipotesi, tesi e antitesi: si possono considerare le cessioni di giocatori fuori dalla lista 2016 anzi no, l’Inter parte da un plus di 13 milioni anzi deve rincorrere da -60, vanno considerati i costi secchi a bilancio anzi devi fare leva sulla somma tarata dagli ammortamenti, per fare spazio ad un giocatore si deve fare la somma di cinque cessioni ma poi si scopre che a disposizione ci sarebbero due giocatori ‘jolly’, inseribili nella lista in caso di cessione di altri due elementi fuori da quella del 2016. 

Insomma, un dedalo nel quale francamente capirci qualcosa, per il momento, è difficile. La cosa più importante, però, è che ad avere bene in mente le soluzioni siano i diretti interessati: a partire dal direttore sportivo Piero Ausilio, passando per Giovanni Gardini e Dario Baccin, tutti sono chiamati ad un lavoro oggi più che mai importantissimo, anche perché ora la situazione è tutta più o meno alla luce del sole, e se da un lato può essere un bene visto che comunque è ben chiaro a tutti in che quadro ci si dovrà muovere, sull’altro piatto della bilancia ci sono gli alibi ridotti al minimo e la consapevolezza di essere sempre più sotto la lente d’ingrandimento da parte di tutti. Il lavoro, comunque, è già iniziato, tra arrivi a parametro zero importanti come quelli di Stefan de Vrij e Kwadwo Asamoah (magari propedeutici alla sentenza in arrivo da Nyon) e la corsa alle plusvalenze coi giovani che procede nel migliore dei modi con l’obiettivo di presentare un nuovo bilancio a zero che possa essere il grimaldello per uscire da questa tenaglia una volta per tutte. Magari anche per preservare da questo meccanismo i ragazzi dell’Under 15 che giovedì sera hanno avviato in maniera traumatica il ‘percorso formativo’ dei pari età della Juventus annichilendoli sotto cinque gol nella finale scudetto…

Il rischio, casomai, è quello di dover fare i conti con un’Inter giocoforza a due velocità: d’accordo, viste le condizioni magari la corsa alla prossima Champions League poteva già essere dipinta come difficile e magari l’obiettivo per la prossima stagione potrebbe essere quella del consolidamento della propria posizione all’interno dei vertici del campionato italiano e di cercare di fare il meglio possibile in Europa, una situazione di fronte alla quale anche lo stesso Spalletti potrebbe anche decidere di fare buon viso a cattivo gioco. A meno che non si decida di mettere da parte l’orgoglio e la volontà di tenersi in rosa i pezzi da novanta optando per le cessioni ‘libera-tutti’, quelle che garantirebbero plusvalenze da medaglia d’oro e al tempo stesso aprirebbero nuove opportunità di mercato e tanti, tanti spazi per la lista, quelli per i quali non si correrebbe il rischio di sentirsi dire dei no da parte di giocatori che potrebbero non gradire l’eventualità di trasferirsi a Milano senza poter godere della vetrina europea.

Insomma, un vero rompicapo, quello nelle mani di Ausilio. Rompicapo generato da questo sistema di regole per le quali la considerazione espressa già la scorsa settimana non cambia di una virgola: ‘La corazzata Fairplaykin’ colpisce ancora e si accentua la sensazione che questo regolamento, tanto filantropico negli intenti, alla fine sia diventato solo uno strumento atto a cristalizzare i poteri del calcio, con le big che diventano sempre più big e la borghesia del pallone costretta a fare i salti mortali per ritagliarsi un posto al sole. L’ennesima filippica di Javier Tebas contro il Psg, ancora una volta sostanzialmente salvato dalla scure delle sanzioni, è un nuovo segnale di forte disagio di fronte a questa situazione a tratti kafkiana. Basteranno le norme della versione 2.0 a lenire un po’ il giudizio verso questa manovra che fatica a togliersi di dosso quella famosa etichetta fantozziana?

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Sezione: Editoriale / Data: Sab 16 giugno 2018 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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