“Io divido i giocatori in intelligenti e non intelligenti, non faccio distinzione tra i ruoli”. Lo scorso 10 novembre, quando Stefano Pioli arrivò ad Appiano per la sua prima conferenza stampa da nuovo allenatore dell’Inter, espresse questo concetto, probabilmente il più importante della presentazione sua e delle sue idee per la squadra della quale ha deciso di prendere le redini nel tentativo di farla riemergere da una situazione che a soli due mesi e poco più dall’avvio della stagione sembrava ormai ancorata verso un abisso. Le premesse non sembravano rassicuranti, di certo anche l’inizio dell’avventura non è stato facile, ma armato di grande pazienza e abilità ha saputo rimettere ordine lì dove sembrava imperare indisturbato il caos. E i risultati di questa inversione di tendenza sono sotto gli occhi di tutti.

Domenica, a Udine, un altro pranzo gustato con soddisfazione, anche se non senza fatica, in quel della Dacia Arena contro un’Udinese combattiva, stesa grazie ad una doppietta di Ivan Perisic, uno che quando ingrana la giornata giusta diventa pressoché impossibile da arrestare. Certo, il fatto che nel gruppone di quelle che lottano per i posti in Europa abbiano vinto tutte, e praticamente tutte in maniera più o meno rocambolesca, potrebbe anche spegnere i legittimi entusiasmi per una vittoria sudata ma importante perché vanifica le illusioni di risalita in classifica. Ma pazienza, più delle recriminazioni deve valere il conforto dato da un’Inter che probabilmente ha fatto la tanto sospirata muta, passando da una squadra fragile come un castello di carte, pronta ad abbattersi alla prima avversità e senza avere la minima traccia di un’identità. Il tutto fatto con quella dote basilare nella concezione calcistica di Pioli: l’intelligenza.

Forse, anzi diciamo sicuramente, non è stata la migliore Inter possibile: ha spaventato tutti il vederla traballare pericolosamente subito dopo la rete del vantaggio dei padroni di casa firmato da Jakub Jankto, con la formazione di Luigi Delneri che ha sfiorato più di una volta il raddoppio. Ma rispetto alla versione da film horror vista nemmeno troppo tempo fa, questa Inter pare aver capito in primo luogo come si incassa e soprattutto come si reagisce. L’Inter di queste ultime uscite ha trovato la capacità di stringere i denti e tenere botta quando serve, sfoderando al momento giusto l’arma forse meno ortodossa per i puristi del pallone ma ancora in grado di marcare la differenza tra una squadra soffice e una di carattere: il cinismo. Cinismo nel concretizzare quando serve, grazie al ritrovato senso del gol di Perisic, contro il quale parecchie imprecazioni sono state spese in quel di Reggio Emilia e che finalmente ha deciso di rimettere i panni del trascinatore. Ma più in generale, in questo tentativo di aggancio al fatidico podio la squadra nerazzurra ha dimostrato di sapersi gestire e di sapere agire con grande intelligenza.

Intelligenza dell’intero gruppo, che, per stessa ammissione del tecnico nel dopo-partita, ha svolto un lavoro di preparazione post-natalizia eccellente, con la giusta concentrazione e soprattutto senza sgarrare di un passo nel rispetto dei programmi assegnati al momento del rompete le righe. Ma intelligenza mostrata, e che dovrà continuare a essere mostrata, anche dai singoli. Partiamo, ad esempio, dal giocatore destinatario particolare di quel messaggio citato all’inizio, vale a dire Ever Banega. Ok, forse la sua prestazione a Udine non è stata brillantissima, visto che alle calcagna aveva un cagnaccio come Sven Kums che ha sacrificato la brillantezza nel saper costruire nel continuo lavoro di interdizione sull’argentino. Che però, non appena ha cominciato a intravedere qualche spazio, è riuscito ad accendersi animando la manovra offensiva dell’Inter, e peccato per quel gol comodo divorato a inizio ripresa. È un giocatore che vive di fiammate, il Tanguito, che magari fatica ancora un po’ a prendere le misure alla nuova realtà ma che in quelle gambe ha intuizioni in dote a non tanti eletti. Per il momento prosegue la staffetta con Joao Mario, col quale domenica lo spartito è cambiato sì, anche se poteva cambiare meglio, anche se da applausi è stata la pennellata per la zuccata di Perisic. I due sono giocatori di grande qualità, ma per il momento ci sono equilibri sacri da rispettare e quindi sta all’intelligenza di entrambi cercare di dare il meglio senza doversi per forza pestare i piedi. 

Il cammino è ancora lungo, le altre davanti corrono e quindi non si può perdere nuovo terreno. Stefano Pioli ha tracciato il solco e ora conta sull’apporto e sull’intelligenza di tutti coloro che sono in rosa e di coloro che verranno. Anzi, magari loro di più. Dovrà essere un po’ più intelligente degli altri, forse, colui che sta per arrivare alla corte di Pioli, quel Roberto Gagliardini indicato come uno dei più importanti prospetti italiani e che è reduce da un’ottima prima parte di stagione con la maglia dell’Atalanta. Il suo arrivo, propiziato dal forte interesse della proprietà di Suning, rappresenta un chiaro segnale, quello di voler dare più spazio possibile alle giovani leve italiane, come testimonia anche la forte volontà di arrivare ad altri prospetti di prima classe come possono essere Federico Bernardeschi o Domenico Berardi

Gagliardini va però all’Inter, preferita rispetto ad altri club che lo corteggiavano a lungo, e allora ecco che il giovane bergamasco finisce più nel mirino delle critiche per via dell’investimento effettuato. Tralasciando il forte segnale anche di tipo politico lanciato da Nanchino, che ha mezzi e volontà di riportare l’Inter a recitare un ruolo di primo piano in Italia, si preferisce dare spago a chi, in virtù di un concetto che per fortuna una nota firma sportiva si è presa la briga di ben sperare, preferisce alimentare il pregiudizio ritenendo dall'oggi al domani la mossa azzardata e facendo passare il giocatore da talento brillante ad elemento sopravvalutato. Addirittura affidandosi, quando non addirittura alla realtà virtuale, a bizantine proporzioni sul rapporto tra spesa e minuti giocati in Serie A (quando non allargato anche ad altri giocatori di altri campionati) dall’orobico Gagliardo, criterio che se fosse davvero plausibile renderebbe non consigliabili, per non dire non augurabili, acquisti come, giusto per fare un nome, del tanto anelato Marco Verratti, per il quale qualunque spesa sarebbe un salasso visto e considerato che il folletto di Manoppello, due anni soltanto in più di Gagliardini, non ha neanche mezzo minuto di esperienza nel massimo campionato. Mero discorso numerico, che prescinde dal valore dei due giocatori in causa…

Ovviamente, giudice supremo sarà il campo: ed è lì che Gagliardini dovrà dimostrare di essere davvero uno che vale questa candela così pesante, guadagnandosi col lavoro e col sudore ogni centimetro di spazio, magari già a partire da sabato contro il Chievo, vista la squalifica di Marcelo Brozovic, Pioli potrebbe decidere di gettarlo sin da subito nella mischia. La parola d’ordine anche per lui sarà la stessa: intelligenza. Anche perché adesso, il vento soffia crudo e gelido su chi magari si prodiga nel fare o dire cose poco o non intelligenti, citofonare Stevan Jovetic per informazioni.

 

Sezione: Editoriale / Data: Mar 10 gennaio 2017 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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