È davvero complicato dare una forma all’Inter, in fase di evoluzione, a cui stiamo dando una prima occhiata in questi giorni. La prima amichevole col Trentino team e la seconda col Prato mostrano le consuete difficoltà nella velocità e lucidità a causa dei carichi di lavoro. Una prassi tanto consolidata da non destare più preoccupazioni in nessuno. 

La memoria atavica aiuta a capire facilmente che ogni squadra a inizio stagione è una lontana parente di quella che vedremo nei mesi successivi, e che un giocatore va sotto rendimento se ha una costituzione particolarmente robusta, come nel caso di Vidic e Icardi. Proprio quest’ultimo è diventato improvvisamente un obiettivo di mercato del Monaco, per questo Ausilio ha pensato bene di trovare soluzioni a una sua eventuale uscita.

Il punto è proprio questo. Perché vendere un giocatore che tra un anno potrebbe valere il doppio, grazie anche alla vetrina in Europa League, cedendo alla tentazione del "pochi, maledetti e subito"? È interessante leggere tra le righe quello che dicono i dirigenti nerazzurri e il neo presidente Thohir ma mentre la società si sta riorganizzando per tornare competitiva ti accorgi che in questi quattro anni il mondo del calcio è cambiato come se di anni ne fossero passati quaranta. Si è creata una forbice tra il neo potentato del calcio e tutti gli altri. Sceicchi che si comprano il giocattolo (Manchester City, Monaco o Paris Saint-Germain), sponsor che investono un miliardo puntando sul rilancio di una squadra (Manchester Utd), banche che sostengono il prodotto nazionale (Real Madrid e Barcellona). In tutto questo il calcio italiano litiga, polemizza, se la prende con chiunque e resta fermo a brontolare mentre attende l’inizio del prossimo campionato.

Spaventa vedere come gli altri procedano sulle loro bici e l’Italia preferisca una cyclette. Metafora di una nazione, non solo calcistica, che crede di andare avanti solo perché pedala. A vuoto.

Cosa c’entra tutto questo con l’Inter? Molto, come ha fatto capire Thohir che ha rinnovato la forte perplessità verso l’appeal che ha il nostro Paese per generare profitti che rilancino il nostro campionato barocco. Per questo, visto che eleggere un presidente della Federazione è più complesso che scegliere un nuovo Pontefice, considerando che non c’è ancora oggi, nonostante tutte le promesse una maledetta legge sugli stadi, che i poteri forti del calcio sanno solo accapigliarsi per mere situazioni politiche e di equilibri che nemmeno sfiorano l’interesse comune. E, considerato che non abbiamo nemmeno un commissario tecnico, a un mese e mezzo dalla prima partita valida per le qualificazioni per l’Europeo in Francia, capite bene che l’Inter debba muoversi in modo quasi anarchico, verso una strada non troppo solitaria, guidata da uomini che conoscano il percorso. Uno di questi è l’acquisto meno visibile, eppure più importante per tutti gli interisti che vogliono rivedere la squadra competere con i grandi club europei, quel Michael Bolingbroke nuovo CEO prelevato dal Manchester Utd e che sarà determinante per rivedere l’Inter stabilmente ai piani alti delle gerarchie europee. È certamente questo l'aspetto più appassionante, ancora più di quanto non sia l’eventuale arrivo di Medel oltre a un’attaccante di valore. 

È evidente che questa squadra sarà più combattiva e si toglierà qualche soddisfazione. Ogni nome che viene affiancato all’Inter è quantomeno discreto. Nessuno entusiasmante, Jovetic a parte. E non può nemmeno esserlo in nome di una contingenza storica che vieta il sogno ma premia l’essenziale. Ci hanno spiegato in svariati modi che bisogna ricostruire un passo alla volta e per questo credo sia più importante concentrare l’attenzione sulle strategie di guadagno e di penetrazione del mercato della società. 

Sarebbe ingenuo pensare che Vidic, Dodò, M’Vilà e Medel sposteranno gli equilibri di una squadra che ha comunque perso anche due titolari come Cambiasso e Samuel. Manca ancora più di un mese alla fine del calciomercato e le valutazioni sull’organico potremo definirle con più precisione. Ad oggi penso solo che questo progetto di società e squadra sia partito con grave ritardo. Spero solo che il gap tra le squadre che spendono 60 milioni per un attaccante, 40 per un difensore e realizzano profitti stellari, non sia troppo lungo da colmare. 

Amala

Sezione: Editoriale / Data: Mar 22 luglio 2014 alle 00:00
Autore: Lapo De Carlo
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