Dopo essersela presa con Moratti, Thohir e ora Suning cosa resta? Dopo essersela presa con Branca, Oriali e Ausilio cosa resta? Dopo essersela presa con Benitez, Leonardo, Gasperini, Ranieri, Stramaccioni, Mazzarri, Mancini e De Boer cosa resta? Loro, restano loro: i giocatori.
Sì perché, a parte qualche piccola parentesi, raramente la mannaia della critica feroce si è abbattuta sui giocatori. Eppure, al netto di tutto, sono loro che poi scendono in campo. Chiariamo: l'impalcatura societaria è la prima a essere responsabile per i risultati, poi a cascata si arriva fino ai calciatori. Ma come quest'organizzazione piramidale non può estrometterli dai meriti quando tutto va bene allora, come nel caso dell'Inter, non può neppure escluderli dai demeriti.
Perché adesso, dopo la debacle israeliana, magari sarà il caso che qualcuno cominci a porsi le giuste domande sull'organico. Individualmente – a parte qualche eccezione – gli elementi non si discutono. O, quantomeno, non sono così inferiori alle altre teoriche avversarie di vertice. Ma il calcio è gioco di squadra e come tale va giocato. Sarà un problema di caratteristiche che non s'incastrano insieme, sarà un problema di approccio mentale, sarà un problema di applicazione: quale che sia il problema, è evidente che la lacuna sia bella vasta. Perché altrimenti non si fanno figure come quelle con l'Hapoel Beer Sheva. C'è qualcosa di strutturalmente sbagliato nell'Inter, qualcosa di sporco che non viene lavato nemmeno dal detersivo più potente. Un male diffuso. Ed è per questo motivo che in tanti provano a risolvere il quesito e nessuno trova la soluzione: non c'è solo un'unica nota stonata.
Handanovic non è una certezza.
I terzini latitano sia in fase difensiva che in quella offensiva.
I centrali commettono errori da Terza Categoria.
I centrocampisti faticano a stare dietro agli avversari.
I trequartisti appaiono svogliati.
Gli attaccanti non trascinano e non aiutano nei momenti di difficoltà.
Nelle interviste ascoltiamo tante scuse, parole comuni, alibi malcelati. Basta, davvero. E' arrivato il momento di guardarsi allo specchio e rendersi conto che nel calcio si gioca per il club e non per se stessi. Solo un lavoro collettivo porta alla gioia individuale. Perché a poco serve se Handanovic vince il premio come miglior para-rigori o se Icardi è primo nella classifica cannonieri.
Ha ragione Stefano Pioli: il problema è mentale. E' la testa che comanda le gambe. E le prestazioni a due facce che troppo spesso stiamo vedendo ne sono l'esempio più esplicativo. Ripetiamo: nello sport viene prima l'uomo e poi la tecnica, specie se le differenze con l'avversario non sono così abissali come qualcuno pensava (o continua a pensare).
Arrivare prima sui rimpalli, correre in soccorso del compagno in difficoltà, andare a duello con l'avversario sempre, credere anche nel pallone che sembra impossibile, accompagnare i compagni pure dalla panchina: in questo modo si risale, in questo modo si dimostra di tenerci davvero. La gente vuole vedere questo perché questo merita l'Inter. E' l'unica ricetta per poter tornare a essere l'Inter.
Ma siamo convinti che ci sia già qualcuno pronto a prendersela con Pioli. Non è così?
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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