Domenica sera, tra una bomba d'acqua e una scossa di terremoto, si ascoltava amabilmente una discussione su SkySport nel dopo-gara di Bologna-Napoli. La questione ruotava attorno alla centralità dell'allenatore sui destini di una squadra. "Non sarà che in questi anni qui in Italia abbiamo dato troppa importanza al ruolo dell'allenatore?", domandava Fabio Caressa ai suoi ospiti del Club. Difficile rispondere offrendo certezze assolute. In soccorso ci può venire la storia recente dell'Inter, fatta – purtroppo per i nerazzurri – da innumerevoli scelte errate per quanto riguarda la panchina.

Senza andare troppo indietro, cominciamo col ricordare in quale situazione si trovava l'Inter un anno fa: vittoria sulla Juventus a parte, i nerazzurri apparivano nella confusione più totale. Dopo un'estate travagliata, culminata col divorzio da Roberto Mancini e con un mercato bizzarro, era emersa la volontà di puntare su Frank De Boer. Scelta quantomai sbagliata, sotto tutti i punti di vista. L'ex Ajax ha provato a calarsi nella realtà interista, senza mai riuscirci. Il suo inserimento avrebbe richiesto tempi e modi differenti, e forse anche tutto un altro parco giocatori. Fare all-in su De Boer è stata una forzatura e i risultati disastrosi sono ancora lì a ricordarlo. Onesto, metodico, ma forse troppo estremo per questo calcio: il buon Frank ha continuato a rimanere inascoltato anche nell'avventura appena conclusasi sulla panchina del Crystal Palace, esonerato dopo appena 76 giorni (all'Inter aveva resistito per 85) e protagonista, suo malgrado, della peggior partenza in Premier League degli ultimi 93 anni (0 punti in 4 match, con 7 gol incassati e 0 segnati).

Il tifo interista ancora si divide sull'argomento. Tanti hanno fatto di De Boer una sorta di messia, venuto in Italia per insegnare il suo calcio artistico e puro, ma pugnalato alle spalle da un manipolo di traditori (i giocatori). L'esonero inglese dimostra che non è andata esattamente così, ferme restando le grandi responsabilità dei calciatori. De Boer non sarà un bluff, ma certamente non è un martire: anche lui ha avuto le sue colpe.

E non lo diciamo noi, lo affermano i circa 60mila presenti a San Siro per Inter-Spal. Che questa squadra non fosse da cestinare in toto ce lo aveva già fatto capire Stefano Pioli, poi naufragato allorquando l'obiettivo Champions era venuto meno. Ancor di più, lo stiamo recependo adesso con Luciano Spalletti, demiurgo della panchina capace di rivitalizzare l'ambiente ancor prima che i giocatori. Quello che piace di Lucio è il suo approccio al mondo nerazzurro: zero alibi, si lavora. Infortuni? Capitano. Coperta corta? Ce la faremo bastare. Vecchi fantasmi? Guardiamo avanti. Bottino pieno? Non abbiamo fatto ancora niente. Spalletti sembra aver già capito molto più della galassia interista di quanto non abbiano saputo comprendere tanti suoi illustri predecessori. Una sferzata di dignità e fiducia, chiarezza e propositività che sta dando ottimi frutti.

La sensazione che si ha va in netto contrasto con quella avuta da quasi tutti gli allenatori che lo hanno preceduto dopo José Mourinho: gli altri sembravano ospiti della panchina dell'Inter, alcuni di passaggio altri quasi intimoriti. Spalletti, invece, dà l'impressione di essere lì da sempre, di volerne diventare il protagonista e il condottiero, senza nascondersi e senza anteporsi. In sostanza, ha la situazione sotto controllo da ogni punto di vista. E questa sicurezza viene tradotta in prestazioni e, ovviamente, risultati.

Si è tanto parlato di mercato monco, delle lacune, degli obiettivi sfumati, della frenata di Suning: tutto vero, tutto sacrosanto. Ma, forse, si è dato poca importanza all'acquisto di Spalletti. Il ruolo dell'allenatore – per rispondere alla domanda iniziale – forse sarà stato anche sopravvalutato in questi anni, ma l'Inter dimostra come resti decisivo e tutt'altro che marginale. Secondo solo a quello della società, chiamata appositamente a scegliere un tecnico adeguato e a metterlo nelle condizioni di rendere per le sue caratteristiche. Per questo sarebbe corretto dare a De Boer quello che è di De Boer e a Spalletti quello che è di Spalletti.

Sezione: Editoriale / Data: Mar 12 settembre 2017 alle 00:00
Autore: Alessandro Cavasinni / Twitter: @Alex_Cavasinni
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