Una delle caratteristiche che contraddistinguono i tifosi italiani, ma anche gli addetti ai lavori, rispetto a quelli del resto del mondo è la capacità di proferire giudizi totalmente sommari basati su semplici impressioni parziali, non corredate da analisi attente dei dati riguardanti i soggetti in discussione. Così basta una partita per far diventare “fenomeni” alcuni con il rischio di retrocederli al grado di “bidoni” dopo qualche altra apparizione o, magari, ed è ancora peggio, sulla base dell’opinione comune. 

L’ultimo in ordine di apparizione in questa particolarissima categoria è Yuto Nagatomo. Nulla di particolare nei confronti del giapponese, ma non basta una prestazione sufficiente per farlo aumentare di grado: contro il Chievo il nipponico ha fatto sì bene, ma ha evidenziato moltissime difficoltà in entrambe le fasi. Si pensi a quando nel finale si perde Mpoku al limite dell’area di rigore regalando una pericolosissima occasione da gol agli uomini di Maran, ma si pensi ancora a tutte le volte in cui ha seguito con colpevole ritardo la manovra tanto da farsi riprendere in più di un’occasione da Miranda per non aver preso tutto il campo a disposizione allargando così la manovra nerazzurra. Certamente è stata una buona prestazione quella di Nagatomo, ma da qui ad eleggerlo terzino migliore della rosa ce ne passa moltissimo.

Un’altra valutazione errata, e forse è quella che susciterà più scalpore fra chi legge, è quella inerente a Kondogbia il cui unico errore sin qui è stato essere pagato 30 milioni più 5/6 di bonus (non 35 o addirittura 40 come vuole far credere qualcuno). Essere pagato così tanto non è una colpa, come pare quando si parla del francese: solo perché non segna caterve di gol e non fa dozzine di inutili numeri da freestyler a centrocampo (a proposito, salutate il nuovo Maradona italiano Hachim Mastour, se e quando lo trovate) non vuol dire che non sia un giocatore importante per questa squadra. L’Inter con Kondogbia in campo ha vinto undici gare perdendone due e pareggiandone tre, per un totale di 36 punti su 48 a disposizione. Decisamente non male per un flop come questo "armadio francese buono a nulla con i piedi quadrati", se oltre a ciò si considera che senza di lui in campo in campionato il bilancio è di 3 sconfitte, due pareggi e due vittorie: in parole povere senza di lui l’Inter ha raccolto 8 punti su 21 disponibili. Già, con o senza di lui la squadra non cambia per nulla. 

Idem dicasi per Icardi: Mauro non è improvvisamente stato sostituito dagli alieni né è finito il filtro magico che invece la scorsa stagione lo aveva reso l’attaccante più decisivo in Italia. Semplicemente, come può capitare a tutti i giocatori, ha vissuto un periodo di down che è coinciso con l’utilizzo di un modulo non a lui congeniale come il 4-2-3-1: infatti non appena l’Inter è tornata ad un 4-3-3 con due attaccanti esterni di manovra come Palacio ed Eder, casualmente, l’attaccante argentino è tornato a segnare, per la cinquantesima volta (50, sì) in Serie A a soli 22 anni. Sicuramente non sta rendendo come nella scorsa stagione, è innegabile, ma nemmeno Higuain sta rendendo come la passata stagione, anzi ha migliorato il suo rendimento facendo sparire tutti i commenti negativi fatti sul suo conto la stagione scorsa. Insomma, chi prima chi dopo, tutti affrontano momenti difficili, ma non si deve mai giudicare nessuno solo sulla base del sentito dire o su delle idee basate su pensieri vaghi. 

Il tutto ci conduce a Roberto Mancini e ai continui giudizi che in queste ultime settimane sono stati fatti su di lui (per quello che concerne il campo, quello che accade fuori è qualcosa di totalmente inutile da analizzare). Il tecnico jesino non è mai stato un drago della tattica quando vinceva, né un brocco su tutta la linea ora che i risultati stentano ad arrivare. Mancini sin dai tempi della prima Inter è stato un allenatore che privilegiava la fisicità alla tecnica sopraffina, ma poi se hai in quella squadra gente come Vieira, Ibrahimovic, Cruz e compagnia che uniscono l’una all’altra, il tutto risulta molto armonico. Anche al City la fisicità era una prerogativa, solamente che in quella squadra, grazie ai soldi degli sceicchi, arrivarono anche talenti purissimi e cristallini. Mancini è solo un collezionista di figurine come ha insinuato Mihajlovic? No, perché per far convivere personalità forti come quelle che ha avuto Mancini ci vuole molta bravura a livello di gestione. In molti sarebbero spariti nel tentativo di far convivere Dzeko, Kolarov, Touré, Balotelli, Aguero, Silva, Kompany e Nasri invece il tecnico italiano ce l’ha fatta. Questo ci si deve aspettare da Mancini: una gestione perfetta del gruppo al fine di conseguire i risultati, non sicuramente che schieri Lahm centrale di centrocampo facendolo ben figurare perché il gioco insegnato è rivoluzionario. 

Moderazione e attenzione, questo serve prima di giudicare correttamente chicchessia per evitare di incorrere in clamorosi cliché e, magari, doversi poi trovare a cambiare continuamente opinione come una bandiera in balia dei venti che soffiano. Cambiare opinione è segno di intelligenza. Cambiare opinione continuamente e perseverare in giudizi talvolta stereotipati frutto di luoghi comuni è la caratteristica principale di chi il calcio lo guarda e, anche, di chi ne scrive.

Sezione: Editoriale / Data: Sab 06 febbraio 2016 alle 00:00
Autore: Gianluca Scudieri / Twitter: @JeNjiScu
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