Ebbene sì, lo ammetto; stasera Inter-Juve la vivrò come una semplice partita, nulla di più nulla di meno. Tre sono i punti in palio, se non si vince me la prendo per il risultato ma niente cambia nella vita da normalissimo tifoso nerazzurro. In realtà, per dirla tutta, sento maggiormente la sfida coi cugini, quelli che stanno dall’altra parte del Naviglio; sapete come funziona, a Milano il derby, quello vero e non la storia del derby d’Italia, è col Milan. La supremazia cittadina, quel senso di onnipotenza che calcisticamente ti accompagna fino alla sfida successiva, quel condividere bar, ristoranti, mezzi pubblici coi rossoneri che, in caso di vittoria, ti sembrano piccoli piccoli è impagabile. E altrettanto per loro, sia chiaro. Inoltre, particolare che non voglio sminuire, non mi piace ridurre il campionato ad una partita coi bianconeri. In altre piazze, lo sappiamo, la sfida con la Juventus è vissuta come l’evento dell’anno pallonaro; però, senza nulla togliere a nessuno, stiamo parlando di Società che, tutte insieme, non arrivano nemmeno a fare la metà degli scudetti vinti da noi. Perché possiamo parlare quanto vi pare, possiamo criticare le ultime stagioni nerazzurre (di quelle altrui non parlo, son cose che devono vedere tra di loro), possiamo mettere alla gogna la conduzione dell’Inter dal punto di vista tecnico ed economico dal 2011 ad oggi, ma non possiamo né dobbiamo scordarci chi siamo e qual è il nostro DNA. Poche squadre al mondo possono vantare il palmarès che ci portiamo dietro dalla nascita, meno ancora possono dire di non essere mai retrocesse nel corso della loro storia, parlando di triplete poi restiamo nell’ordine della conta sulle dita delle mani. Quindi per quale motivo quella di Torino deve essere la madre di tutte le battaglie? Oh, mio pensiero, beninteso. E, comunque vada, dormirò sereno; a meno di trangugiare una bella peperonata fredda che mi si piazza sullo stomaco e allora via di canarini. Quello che voglio vedere, così come in ogni altra maledetta domenica (guardatevi il film con Al Pacino e la regia di Oliver Stone se vi capita, un vero e proprio capolavoro) è la dedizione ai colori, l’impegno, la corsa, il famoso sputare sangue di petersoniana memoria. Questo mi interessa. E già che ci siamo, vorrei pure sfatare il mito del “a testa alta”. Ma che significa “a testa alta”? Abbiamo perso…eh sì, però lo abbiamo fatto “a testa alta”. E chissenefrega. Perché abbiamo perso, quindi mi interessa molto poco di come è posizionata la mia testa. Non è l’uso della frase in sé che mi urta: è l’abuso che se ne fa. Perché sta roba della testa alta si tira fuori ogni tre per due. E continuare a sentirlo mi provoca dei violenti attacchi di orchite accompagnati da spasmi di disgusto. Siccome non guardo (quasi) mai in casa d’altri, non mi interessano colori che non siano il nero e l’azzurro (NOI siamo nerazzurri dalla nascita, nero e blu è altra roba) cito un esempio che riguarda direttamente l’Inter; pochi giorni fa, per la precisione martedì, siamo stati inopinatamente cacciati dalla Coppa Italia, manifestazione che fa da cornice ad altri traguardi ben più importanti ma pur sempre un qualcosa da sistemare in bacheca. Si, ho letto e sentito, però non lo meritavamo, siamo usciti a testa alta. Bene. Comunque siamo usciti e la coppetta ce la guardiamo in televisione; a pensarci bene sarebbe stato molto meglio passare il turno ad eliminazione diretta ed essere in lizza ancora per qualcosa di tangibile (abbiate pazienza ma allo scudetto faccio parecchia fatica a credere) piuttosto che vincere una partita che, per adesso, ci porterebbe tanta autostima ma poco o nulla in fatto di risultati nell’immediato. Se non un messaggio importante a chi, attualmente, ci sta davanti ed è in lizza per un posto nell’Europa che conta; perché, per tutto il resto, dobbiamo aspettare necessariamente fine stagione. Ovvio, espugnare lo Stadium regala soddisfazioni difficilmente comprensibili a chi non è interista fuori, dentro e tutto intorno; pertanto vincere è la prima delle cose che mi vengono in mente, dovessi fare una lista da consegnare a Stefano Pioli. Che, frasi dette giusto qualche ora fa, non si sente battuto in partenza sebbene negli scontri diretti, da allenatore dico, non è che brilli per tradizione favorevole. Ma poco importa, le statistiche servono per riempire gli spazi vuoti dei giornali e le tradizioni sono fatte per essere rotte. Quindi niente muscoli da mostrare al pubblico pagante, ma una sana consapevolezza dell’essere riusciti a costruire qualcosa di importante durante le settimane passate, che ci ha consentito di risalire parecchie posizioni in classifica, alla faccia dei soliti noti incapaci di vedere oltre il loro naso che continuano come un mantra a menarla con la facilità degli impegni affrontati, dimentichi che magari i loro beniamini sono stati battuti o fermati su un misero e striminzito pareggio da quelle stesse squadre tanto facili da asfaltare. Potere della perdita di memoria. Oltre ad aggiungere: che palle ‘sta menata del calendario facile, cambiare registro per cortesia, non fa più ridere la barzelletta. Ora, non è che Pioli abbia bisogno di suggerimenti né io sono in grado di offrirgli preziosi consigli e, detto per inciso, non appartengo alla falange di quanti vorrebbero Diego Pablo Simeone con le chiappe sulla panchina nerazzurra fin dalla prossima stagione; inoltre, raccontano, Steve Zhang (bello il tweet di ieri “sola non la lascio mai” sulla sua pagina, ma che vuoi capirne, son cinesi e gli interessa solo il guadagno) nutre una sincera stima ed affetto per il tecnico di Parma, ricambiate da quest’ultimo. Indi ragion per cui dubito, a meno di catastrofi soprannaturali, che l’attuale allenatore interista possa essere sostituito a fine campionato, con mia personalissima soddisfazione e con quella dei più, occhieggiando qua e là. Però un paio di cose, giusto buttate lì ma non a caso: questa squadra non può prescindere da Gagliardini e Joao Mario, non in questo momento almeno. Il ragazzone bergamasco ha nel sangue senso della posizione e distribuisce intelligenza calcistica, il portoghese ha estro e fantasia, capacità di inserimento e non molla di un centimetro. Insieme a loro, oggi, preferisco l’agonismo di Kondogbia alla genialità di Brozovic, guai a cedere il croato se vogliamo pensare di costruire una squadra vincente, ma Epic può subentrare ed essere letale in qualsiasi momento. Dietro, mai avrei pensato di poterlo credere, decisamente meglio Nagatomo dell’Ansaldi visto nell’ultimo periodo. Tiratina d’orecchie per Miranda, martedì il fantasma di sé stesso, e credo che la fisicità di Murillo potrebbe farsi preferire a quella di Medel, mera questione di centimetri, pur reputando il cileno mentalmente più pronto alle sfide di alto livello rispetto al colombiano, ancora da sgrezzare sotto alcuni punti di vista. D’Ambrosio è quello, del pacchetto di esterni bassi, ad offrire le migliori garanzie. E davanti Icardi-Perisic-Candreva, con quest’ultimo speriamo meglio disposto rispetto alla prestazione opacissima di Coppa Italia. Insomma, andiamo allo Stadium; ma senza affanni. Serenamente. E, magari, cerchiamo di uscirne vincenti. Giusto per andare controcorrente. Buona domenica a Voi. Amatela, sempre!
Sezione: Editoriale / Data: Dom 05 febbraio 2017 alle 00:00
Autore: Gabriele Borzillo / Twitter: @GBorzillo
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