Serata di lustrini e paillettes, di sorrisi e di ricordi, di ricchi premi e cotillons come era consuetudine dire un tempo nel magico mondo dell’avanspettacolo italiano. Una serata di festa come giusto che fosse, quella svolta ieri a Milano per celebrare i 110 anni della fondazione del Football Club Internazionale Milano, un’epopea nata la sera del 9 marzo 1908 quando 43 soci dissidenti del… Va beh, facile credere che la storia sia a tutti noi ben nota. Un’epopea che nonostante il tempo che passa inesorabile non sembra lasciare troppe rughe sul volto di una società che ieri ha celebrato al meglio il suo blasone anche attraverso il varo della Hall of Fame e l’inserimento dei primi nomi che rimarranno impressi nella gloria imperitura di questo club.

Tanti sorrisi, tanta gioia, tanti ricordi, quindi. Ma tutto questo luccichio non può, non deve distogliere l’attenzione da un dato di fatto apparso in maniera inequivocabile anche durante questi momenti di festa: per l’Inter, questo è stato un compleanno in tono minore, visto il periodo storico che sta attraversando la squadra nerazzurra. Ben altra storia rispetto a solo 10 anni fa, a quella sera del 2008 in cui Gianfelice Facchetti declamava sul prato di San Siro la poesia dell’essere interista e Massimo Moratti si esibiva in un duetto con Adriano Celentano.

Erano 10 anni fa, sembrano esserne passati 100: perché all’epoca l’Inter era nel pieno di un ciclo vincente che sarebbe culminato la sera del 22 maggio 2010, quella di Madrid e della Champions League alzata al cielo, mentre adesso l’Inter si ritrova a fronteggiare un periodo troppo lungo di vacche magre, di risultati che non si vedono più nemmeno col binocolo, di un continuo viavai di giocatori, allenatori e dirigenti che passano più o meno fugacemente da Milano senza lasciare troppe tracce. Una situazione che dura da tanti anni e che ormai ha messo definitivamente a repentaglio il sistema nervoso di tutti i tifosi.

Giusto quindi festeggiare questo compleanno, chiaramente. Ma è anche giusto chiedersi quando l’Inter tornerà a festeggiare qualcos’altro che non sia un compleanno, nello specifico quando la bacheca di Corso Vittorio Emanuele tornerà a riempirsi di un qualsivoglia trofeo dopo che da sette anni si raccolgono solo ragnatele nella pur ricca e prestigiosa collezione. E tutto questo al netto di tutte le difficoltà finanziarie che hanno segnato gli ultimissimi anni della storia nerazzurra, alle quali con grande dimostrazione di buona volontà e con risultati comunque apprezzabili sta provando a mettere una pezza la nuova proprietà di Suning. Consci però che mai come adesso serve il conforto del risultato sportivo, a partire da quella tanto agognata qualificazione in Champions League dalla quale dovrebbero nascere nuove prospettive più rosee.

Si spera quindi che l’alba di questo 111esimo anno possa essere davvero l’alba di un nuovo cammino, una speranza troppo spesso vanificata da una realtà buia e crudele. Magari già partendo da domani sera, quando a San Siro arriverà il Napoli di Maurizio Sarri, una delle dominatrici di questo campionato, una belva ancor di più ferita dalla sconfitta interna contro la Roma che potrebbe aver messo a repentaglio le velleità di tricolore della compagine partenopea. Sarà una gara dai tantissimi risvolti, soprattutto psicologici: perché se il Napoli è logicamente chiamato a dare una risposta evitando di dare troppo anticipatamente campo libero alla Juventus, più di una è la risposta che deve dare l’Inter. Che scenderà in campo dopo un periodo di pausa forzata, nella quale è saltato il confronto con il Milan il cui recupero, complice inciampo europeo dei rossoneri (ma mancano ancora 90 minuti, giusto dirlo) potrebbe essere più imminente di quanto si creda. E lo farà con l’organico quasi al completo e sapendo in anticipo tutti i risultati delle concorrenti per la corsa alla Champions, cosa che in qualunque modo la si voglia leggere renderà fondamentale la conquista del bottino pieno, sia per rimettere la freccia per il sorpasso o perché bisognerà evitare di perdere troppo terreno.

Questa è la pura cronaca della vigilia di una partita cruciale, dove vincere o perdere rischia di fare tutta la differenza del mondo, pur sapendo di dover fare i conti con la squadra che esprime la miglior qualità di gioco dell’intera Serie A. Servirà indubbiamente l’Inter migliore, quella che sin qui ha sempre fatto ottima figura di fronte alle altre grandi del campionato, magari aiutata da quel pizzico di follia da Dna nerazzurro innata e inneggiata da 110 anni a questa parte. Ecco, torniamo per un attimo a questa ricorrenza: nel 2013, sempre in questa data, provammo su questi schermi a elencare 105 consigli al tifo nerazzurro (RILEGGI QUI L’EDITORIALE). Non fu un’iniziativa foriera di buoni auspici, anche perché di lì a qualche ora l’Inter, all’epoca allenata da Andrea Stramaccioni, sarebbe incappata nell’ennesimo stop di una burrascosa stagione, stesa in casa da un gol di Alberto Gilardino all’epoca portacolori del Bologna. Siccome però qui si va anche in barba alla scaramanzia, ecco nelle righe che seguono un aggiornamento al 2018 di questo elenco; cinque anni sono passati e cinque saranno i consigli in più che intendiamo dare, senza dilungarsi troppo e senza pretendere di dare lezioni a chi ancora oggi si lascia andare a troppi interismi, ma semplicemente auspicando di ridestare l’essenza più bella del tifare questi colori:

1 – L’Inter nacque da 43 soci dissidenti del Milan, tra cui anche il signore in foto, quel Giorgio Muggiani che disegnò il simbolo della Beneamata, che non gradivano la norma interna al club che impediva il tesseramento di giocatori stranieri. Perché il conformismo non fa parte della nostra natura, e in un Paese dove c’è sempre il rischio di morire democristiani a noi interisti non piace la quiete e l’adeguarsi ad un establishment consolidato. E anche se non abbiamo vinto tanto in confronto ad altri, quando lo abbiamo fatto non lo abbiamo mai fatto in maniera banale. E quindi, è stato sempre più bello.

2 – Secondo la leggenda (o meglio, secondo come l’ha descritta on line uno dei principali quotidiani nazionali che ebbe l’onore di raccontare i fatti della fondazione) i 43 padri fondatori parlavano della rivoluzione davanti a un piatto di risotto all’ossobuco accompagnato da un buon rosso dell’Oltrepò. Questo perché essere interisti vuol dire anche saper cogliere i sapori migliori della vita, in ogni aspetto.

3 – Il messaggio ‘Si chiamerà Internazionale, perché siamo fratelli del mondo’ non è una frase fatta: è l’anima dell’avere scelto di tifare questi colori. Oggi più che mai, in un periodo storico che sta prendendo un’altra deriva (e qui mi fermo), l’Inter porta più che mai il suo messaggio nei cinque continenti. E non si parla solo della proprietà cinese, della quale ognuno può avere l’opinione che vuole. Ma anche della vocazione globale che si esprime anche attraverso progetti degni di ogni lode, sportivi come le Academy oppure, semplicemente, umani, come Inter Campus.

4 – Lo ha detto anche Sandro Mazzola: “La storia lo ha dimostrato: questo club cerca sempre di farti diventare grande come uomo e come calciatore. Chi veste la maglia nerazzurra e chi la tifa lo tenga bene a mente”. Un messaggio chiaro e univoco: chi indossa questi colori ha dei doveri e delle responsabilità, ma anche chi li sostiene. E lasciandosi andare a gesti istintivi come ad esempio fischiare un giocatore all’ingresso in campo, per quanto indolente e svogliato a volte questo appaia, non è un gesto da grande (come non lo è scendere in campo come a fare un favore perché all'Inter non servono favori, servono leoni).

5 – "Ci sono giorni dove essere interista è facile... Altri dove è doveroso... E giorni dove esserlo è un onore" . Non lo ha detto uno qualsiasi, lo disse Giacinto Facchetti. Serve altro?

Sezione: Editoriale / Data: Sab 10 marzo 2018 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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