Se è vero che un amico si vede nel momento del bisogno, è altrettanto evidente riconoscere il tifoso nella sconfitta. E' un fatto: non c'è niente di più selettivo di un insuccesso, ancor meglio se fragoroso, per distinguere il sostenitore occasionale da quello che ha cuore i destini della sua squadra anche nella cattiva sorte.
Non fanno eccezione i fan dell'Inter, messi a dura prova da anni avari di soddisfazioni e zeppi di sfottò degli avversari che li tartassano sulle note del coro 'non vincete più'. Dopo il Triplete, lo stemma più lucente di cui si fregia il supporter Bauscia assieme a quello del 'Mai stati in B', la squadra - tolta la sola Coppa Italia del 2011 - ha visto gioire solamente i rivali, Milan e, soprattutto, Juventus. Una situazione frustrante, ormai arcinota, che in questa stagione si è riproposta ciclicamente uguale e che da tempo ormai si è riverberata in una lotta intestina tra fazioni di guelfi neri e ghibellini blu. Sì, perché ora il nemico non è più quello che abita fuori da San Siro, semmai è quello che siede sulla poltroncina vicina e che veste gli stessi colori. Siamo al paradosso, più che professare la propria passione, ora gli aficionados della Beneamata sono costretti a schierarsi come se facessero parte di diverse fazioni politiche: non a caso, la settimana che conduce al derby, la rivalità che a Milano dovrebbe accendere di una luce accesissima il fuoco della passione, è stata attraversata da dichiarazioni di protagonisti del presente e del passato recente che più che portare lustro al buon nome del club, hanno preferito guardare al loro piccolo orticello dell'interesse personale.
Il casus belli è stato offerto dalla débacle storica contro il Crotone che il direttore sportivo Piero Ausilio ha inquadrato così: "Quando hai un atteggiamento come il nostro nel primo tempo non puoi vincere nessuna partita. Siamo stati presuntuosi, arroganti e superficiali, se vai in campo e non metti tutto quello che devi fai fatica", le parole del ds dopo il 2-1 dello Scida.
Una reprimenda durissima dalla quale Marco Materazzi, l'uomo che ha cavalcato l'onda dell'interismo più spinto arrivando a indossare uno smoking bianco per rivendicare l'onestà della società nel caos di Calciopoli, ha pensato bene di prendere come spunto per lanciare una frecciata indiretta, ma comunque avvelenata al dirigente, già messo alla berlina qualche settimana prima: "Il tempo mette ognuno al suo posto; ogni regina sul suo trono, ogni pagliaccio nel suo circo. Prima di accusare, specchiati. Si vince e si perde tutti insieme! Sempre", il messaggio postato su Instagram.
Una bordata in stile Matrix, un regolamento di conti, che però scinde il mondo in due correnti di pensiero, i pro e contro l'ex 23, più che unire il pubblico interista sotto uno stesso cielo. Di posizioni nette, in società, non ne sono state prese. Martedì scorso, però, in un giorno come tanti, si è levata dal coro la voce dell'ultimo arrivato, quel Roberto Gagliardini che a nome di tutta la squadra ha difeso l'onore calpestato dei compagni: "Non sono d'accordo con alcune parole, dette magari a caldo. Lui (Ausilio) pensa questo, noi dobbiamo capire perché lo ha detto, magari c'è un velo di verità ma dobbiamo lavorare perché non accada più", le frasi pronunciate da Gaglia.
Ecco servita l'ennesima scollatura a livello mediatico, fatta di messaggi contraddittori tra campo e scrivania recepiti fuori dalle mura di Appiano con il solito senso di destabilizzazione da parte degli appassionati nerazzurri. Una situazione di stasi nella quale nessuno si è ancora preso le responsabilità nei settori di propria competenza, a cui si deve aggiungere l'amara constatazione di non riuscire a trovare un altro capro espiatorio a cui dare la colpa. "E' colpa di Ausilio, il mercato lo ha fatto lui", sostengono alcuni. “Ma no, è colpa della squadra, è inammissibile perdere col Crotone in quella maniera”, fanno notare altri. Tutti colpevoli, nessun colpevole. Tutti contro tutti, amici contro amici. 
Ma in fondo, a chi importa? C'è Gagliardini allo Stadium, è andato a vedere il quarto di finale di Champions tra Juve e Barcellona, ora subissiamolo di insulti su Twitter. Eccolo qua il mostro da sbattere facilmente in prima pagina per guardare il dito anzichè la luna. Ed è così che anche sull'uomo senza macchia della rosa, quello che ha fatto di nuovo gonfiare il petto al popolo del cielo e della notte, l'interista medio ha avuto da ridire. Brutto malcostume dei nostri tempi quello della maleducazione gratuita senza volto sul web, un universo parallelo in cui erroneamente si pensa che tutto sia concesso. 
Proprio come accade metaforicamente tra Inter e Suning, due entità che fanno parte dello stesso universo ancora separate come a rappresentare due mondi diversi. Il primo è quello della triste realtà del presente, o se preferite del glorioso passato che non vuole tornare più, il secondo è quello della fantasia, laddove tutto può succedere perché al riparo dalla tirannia del Tempo. Nel primo pianeta si respira il 'senso di vergogna' di essere interisti per le sciagurate prestazioni che offre la squadra, nell'altro si fantastica su una proprietà che ha basi economiche solide e che non ha nulla da invidiare a quelle più munifiche in giro per l'Europa. Nel frattempo, prima che Zhang Jindong metta a disposizione un mezzo futuristico per trasportare i milioni di tifosi da un pianeta all'altro, per trasformare il partito del 'Forza Suning' nel più antico e sempreverde 'Forza Inter' occorre ripetere come un mantra la frase simbolo che il leggendario Giacinto Facchetti ha lasciato in eredità a proposito del rapporto fideistico che bisogna avere con la propria squadra del cuore: "Ci sono giorni dove essere interista è facile, altri dove è doveroso, e giorni dove esserlo è un onore". Per non avere più paura del proprio fratello del mondo sarebbe bene mettere in pratica questa verità. 

Sezione: Editoriale / Data: Ven 14 aprile 2017 alle 00:00
Autore: Mattia Zangari / Twitter: @mattia_zangari
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