Due mesi senza vincere, i tre punti mancano da dieci partite comprese le due di Coppa Italia con Pordenone e Milan. Nel derby è arrivata addirittura la sconfitta beffa ai supplementari che ha estromesso la Beneamata dalla manifestazione. Contro il Crotone, altra prova sconcertante, con la squadra incapace, sul prato amico, prima di mantenere il vantaggio e poi di tornarci, con più di mezz'ora a disposizione. L'Inter delle certezze, quella che non incantava, ma vinceva, è sparita. Candreva e Perisic, armi letali fino a Natale, sono diventati il problema. Icardi, assente per infortunio con il Crotone, rischia di esserlo anche quando fisicamente è in campo, se privo dei rifornimenti preferiti. Luciano Spalletti ammette di non notare miglioramenti, ammette di essere preoccupato, convive male con i paletti imposti dal financial fair play, come ha fatto intendere ieri, chiarendo il senso della sua conversazione con alcuni tifosi della Roma incontrati in un ristorante milanese dopo la recente sfida con i giallorossi. Situazione pessima, insomma, ma nel campionato del “ciapa no”, questa Inter è ancora quarta con un solo punto di svantaggio dalla celebrata Lazio che si è fatta male in casa con il Genoa e uno di vantaggio sulla più accreditata Roma, anch'essa però piena di problemi e corsara a Verona, ma senza lampi degni di nota. La vittoria che non arriva, in casa Inter, sta diventando un incubo. Anche quando immeritatamente si passa in vantaggio, come a Firenze, come a Ferrara con la Spal, come sabato con il Crotone, la squadra si ritira nelle sue paure ataviche che sembravano svanite sino a Natale, e becca il gollonzo del pareggio avversario.

Dopo un girone di andata importante, che è servito per mettere il giusto fieno in cascina, si rischia di ripetere una seconda parte di campionato incomprensibile, con punti gettati al vento contro squadre che dovrebbero partire in svantaggio solo per il timore di affrontare il blasone nerazzurro. E invece, quando l'Inter ripete film già visti, nessuno ha paura, tutti sembrano giocare meglio perchè consci dei limiti caratteriali e di personalità della squadra. Forse anche dei limiti tecnici in una zona nevralgica come il centrocampo. Quando i nostri iniziano l'azione, il pallone sembra di pietra e il campo in salita. La lentezza la fa da padrone, mancano i movimenti senza palla, l'unica certezza è che si andrà a cercare le fasce per poi sfornare cross prevedibili e quindi inutili. Anche quando non incantava, l'Inter non giocava così male e vinceva. Andate a rivedervi, ad esempio, i tre gol segnati all'Olimpico contro la Roma alla seconda giornata. Il pallone correva leggero e il campo pareva in discesa.

Che cosa è successo dopo Natale? Che cosa sta succedendo ancora? Inizio a pensare che il mercato deficitario (vero), stia però diventando un alibi. Udinese, Sassuolo, Spal e Crotone, con tutto il rispetto, vanno battute senza nemmeno sbattersi troppo con la rosa a disposizione. La soluzione, come ha fatto notare anche l'ex patron, ma sempre presente Massimo Moratti, la dovrà trovare l'allenatore che avrà tanti difetti, ma ha sempre fatto giocare bene le sue squadre. Un pò di luce, nel grigiore assoluto di sabato, si è vista quando a metà secondo tempo sono entrati Rafinha e Karamoh. Soprattutto il brasiliano ex Barcellona, ha confermato grande tecnica, personalità e la possibilità, con lui in campo, di cambiare un modulo che ormai non sorprende più nessuno. Domenica si recita nuovamente al Meazza contro un Bologna reduce dalla sconfitta interna con la Fiorentina, ma storicamente avversario ostico per l'Inter. Fortunatamente rientrerà Mauro Icardi, quello che, per qualcuno, sa solo segnare. Mi accontento e me lo tengo stretto visto che per vincere le partite, bisogna buttarla dentro. Rafinha-Icardi. Forse torneremo a divertirci.

Chiusura dedicata ad un figlio dell'Inter che sabato ha fatto emozionare, emozionandosi, San Siro, la sua unica casa. “C'è solo un Walter Zenga”, recitava lo striscione che non va mai in naftalina, in Curva Nord. Zenga, milanese, prima ultrà nerazzurro, poi trapiantato in campo per difendere la porta della squadra del cuore. Eravamo a metà primo tempo quando il ragazzo di Viale Ungheria dava indicazioni ai suoi giocatori, indicazioni sentite perché lui è un professionista e il Crotone vuole giustamente salvarsi. Ma nella “Nord”, il suo covo da giovane, improvvisamente spuntava lo striscione senza età e, come da previsione, partiva il coro che dice che di Zenga ce n'è uno solo. Lui si gira, saluta, si batte il petto e inizia a commuoversi. Ma non finisce qui. Perché Walter Zenga, milanese di Viale Ungheria, per venti anni ha rappresentato l'interismo più estremo. E allora vai con l'altro coro. “Salta con noi magico Walter” a cui seguiva il sempre verde. “Chi non salta rossonero è”. La partita continuava, lui non mollava con lo sguardo i suoi ragazzi che riuscivano, purtroppo per l'Inter, ad arrivare quasi sempre prima sul pallone, ma Walterone non poteva dire di no a cuore e istinto. Primo saltello, dopo poco, secondo saltello. Mai vista una cosa del genere in serie A. Poco professionale? No. Al contrario. Perché Zenga non l'ha fatta vincere l'Inter, però le ha detto, per l'ennesima volta, che ama quei colori come nient'altro. L'uomo ragno ha smesso di giocare 24 anni fa. La Curva ora è frequentata da molti ragazzi che ne hanno sentito solo parlare. Ma la storia non tradisce e chissà che un giorno...

Sezione: Editoriale / Data: Mer 07 febbraio 2018 alle 00:00
Autore: Maurizio Pizzoferrato
vedi letture
Print