Camaleontica o coerente? Nel tentativo di capire come mai l’Inter di Spalletti sia lassù, a fronte di un calcio che a detta dei più sarebbe brutto e sparagnino, si è rintracciato spesso il pregio di questa squadra nella capacità di adattarsi all’avversario, modificando distanze e interpretazione dello spartito tattico a seconda dello scacchiere che i nerazzurri si trovano ad affrontare. L’ora di gioco arrembante e tecnico sciorinata contro la Sampdoria, in quest’ottica, resterebbe soltanto come una piacevole eccezione, un divertissement che l’Inter avrebbe concesso alla platea in attesa di tornare a rinserrare le fila e parcheggiare il proverbiale pullman davanti alla porta di Handanovic. Le parole del tecnico, insomma, sarebbero pura retorica, e a nulla vale che Spalletti ribadisca in ogni dopopartita come la via sia una sola, che questa via porta al gioco offensivo e che i suoi ragazzi ci si sono già incamminati di buona lena. Eppure, a ben guardare dentro le partite, l’ex Roma ha ragione. La via è ancora lunga, per carità, e in questo senso la prestazione di Verona ha costituito un passo indietro rispetto a quanto visto con la Samp. Il cambiamento in atto, però, era abbastanza lampante fin dalle prime uscite stagionali. Già con la Roma, dopo che ci si era opposti alla forza d’urto dei giallorossi col coltello tra i denti e qualche legno amico, il centrocampo nerazzurro si era mostrato stretto come non mai, raccolto come un bocciolo dal quale venivano via palloni in verticale sempre maledettamente pericolosi. Il passo successivo ha visto le tre (o quattro, se proprio si vuole) linee ridurre le distanze che intercorrono tra loro, nell’ambizione di cercare quella compattezza di squadra che del calcio di Spalletti è uno dei cardini più saldi. Chiaramente, questo avvicinamento dei reparti deve avvenire, almeno inizialmente, piuttosto vicino alla propria porta, ché sennò la difesa alta è penetrabile come il burro, e si prendono imbarcate che non aiutano certo a guarire dai malanni delle passate stagioni. Ciò che qui si contesta, però, è l’idea secondo la quale a questa squadra manchi un’identità tattica, e soprattutto un margine di crescita. “Con questi giocatori, si può giocare soltanto così”, si sente dire, come se, in fondo, i centrocampisti nerazzurri non sappiano davvero passare il pallone, e siano quindi inevitabilmente costretti a buttarla un po’ così sulle fasce.
La grande novità, che è diventata lampante proprio a Napoli, nella serata più importante e tosta, vede i nerazzurri avviare il proprio fraseggio fin dall’area piccola di Handanovic. È evidente come lo sloveno, mai come quest’anno, sia chiamato a giocare la palla coi piedi con una straordinaria frequenza. Il primo passaggio, perlopiù, è per un terzino o per Skriniar che si allarga a destra per ricevere il pallone e giocarlo con una precisione e una tecnica che nessuno gli riconoscerebbe, a guardare i suoi gamboni da corazziere. Da lì, si cerca l’imbucata su quel Borja Valero che è tanto bravo ad abbassarsi, o magari a un Gagliardini che tanto ha da fare per guadagnare in serenità nella gestione del pallone, ma che sta crescendo in modo impressionante nella concentrazione difensiva e nella capacità di abbassarsi con puntualità tra i due centrali quando occorre. In mancanza di un trequartista che punti l’area avversaria senza se e senza ma (anche se Valero e Vecino, a tratti, hanno quelle giocate e di quelle giornate), ecco dunque che si serve l’esterno, e qui subentra la seconda grande novità dell’era Spalletti. Ricordiamo bene, infatti, quando Perisic e Candreva erano chiamati a stare larghissimi, quasi dovessero pedinare i guardalinee: in mezzo, in una desolazione da coprifuoco, Icardi; sulla sua testa, una montagna di cross, perlopiù inutili, visto che nessun compagno puntava l’area in appoggio e i due esterni continuavano a marcare da vicino gli assistenti dell’arbitro. Da qualche gara, invece, l’Inter ha un solo esterno. A Candreva, infatti, Spalletti chiede un lavoro a tutta fascia,dal momento che D’Ambrosio tende spesso a scalare verso il centro e serve dargli man forte in una pluralità di occasioni; servissero prove a sostegno, l’ex Lazio paga in molte gare l’enorme dispendio di energie cui è sottoposto con una sostituzione intorno alla metà del secondo tempo. Perisic, invece, davanti può fare un po’ quello che gli pare: sinistra, destra, centro, fatto salvo l’obbligo di sfruttare la sua sovrumana capacità fisica in preziosi ripiegamenti difensivi. In fase di proposizione, però, il croato è a tutti gli effetti una seconda punta, e il fatto che Ivan il terribile sia uno dei pochi giocatori di altissimo livello a poter contare su un calcio totalmente ambidestro depone senz’altro a favore di questa trovata tattica. Ecco dunque che non sempre si butta il pallone sulla fascia alla speraindio, ma sempre più spesso arriva l’imbucata centrale, che spesso e volentieri ti consente di arrivare in porta con una semplicità inaudita da queste parti.
Lo spartito, dunque, esiste, e sarebbe riduttivo e limitante non riconoscere che quest’Inter vuole giocare a calcio come ha fatto nell’ora con la Samp: palla a terra, due tocchi e bambola inevitabile per l’avversario di turno. Lo dicono le tracce disseminate sul campo, lo dice il passato di Spalletti. Se la sua prima Roma e lo stesso Zenit, a questo riguardo, costituiscono prove insindacabili, nell’ultima esperienza coi giallorossi il tecnico di Certaldo ha senz’altro cercato un calcio più verticale, che finisse in porta a furia di strappi e cambi di passo. Questo, però, accadeva davanti, e perlopiù quando c’erano spazi a sufficienza: la costruzione della manovra, invece, non ha mai smesso di essere scientifica, curata e assolutamente pregevole. Per caratteristiche tecniche, è presumibile che sia proprio quella la squadra a cui quest’Inter potrebbe assomigliare di più, quando il professor Spalletti inizierà a trarre profitto dalle sue lezioni. Intanto, è inevitabile che le squadre più bloccate finiscano ancora per imbrigliare i nerazzurri, e sarà così finché l’Inter non imparerà ad essere imprevedibile con continuità. I piedi ci sono, le doti pure, serve studiare. Inoltre, è probabile che si incappi ancora in errori macroscopici nel giocare palla a terra da dietro: è successo a Skriniar al cospetto di Koulibaly (esito fortunato), è poi arrivato il pastrocchio Handanovic-D’Ambrosio contro l’Hellas (esito assai meno gradevole). Ci vuole tempo, però, e per una volta si può avere pazienza anche da queste parti, vista la classifica mai così bella. Intanto, a San Siro c’è il Torino, 70.000 persone sugli spalti e tutte le premesse di una bella giornata. Al momento, la prestazione dell’Inter dipende ancora dall’atteggiamento degli avversari, convinti che, se un Toro che ha ritrovato entusiasmo proveràa giocarsela come la Samp i nerazzurri potranno far divertire il grande pubblico. In caso contrario, si proverà in ogni modo a vincerla comunque, con una determinazione che non si vedeva da anni. Ma guai a definirla camaleontica: quest’Inter ha un progetto tattico preciso, e c’è da credere che presto avrà anche un’identità indiscutibile, e indiscutibilmente offensiva.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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